Prima o poi verrà il giorno dell’Iran e la fine di Ahmadinejad

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Prima o poi verrà il giorno dell’Iran e la fine di Ahmadinejad

14 Febbraio 2011

Uno di questi potrebbe essere il grande giorno dell’Iran. Il regime adesso teme di essere rovesciato, non solo per le spinte interne, l’Onda Verde, i giovani che sono tornati in piazza a due anni dalla rielezione di Ahmadinejad; ma anche perché l’ingloriosa fuga di Ben Ali dalla Tunisia, e il pensionamento coatto di Mubarak a Sharm, suonano come un rintocco lugubre per gli ayatollah: le dittature del mondo arabo e islamico stanno cadendo una alla volta e hai voglia a dire che la Rivoluzione del nilo è stata ispirata da quella khomeinista del ’79, come ha fatto la Guida Suprema, che in questo periodo sta tornando un po’ troppo spesso nella città santa di Qom, quasi a dover mantenere la calma nel clero sciita; alla favola della rivoluzione islamica non ci crede più nessuno, meno che mai loro, i teocrati, costretti a reprimere in casa quello che altrove elogiano come foriero di cambiamento.

Gli Usa hanno reagito una volta tanto senza incertezze, quando il consigliere per la sicurezza nazionale, Tom Donilon, è intervenuto per denunciare la contraddizione del regime ("The Iranian government has declared illegal what it claimed was noble for Egyptians), e metterlo in guardia: non togliete al vostro popolo il diritto di manifestare pacificamente, com’è accaduto al Cairo. Il Dipartimento di Stato ha preso a twittare in farsi, continuando in quella campagna di legittimazione dei movimenti antagonisti e democratici che, secondo Obama, rappresentano il nuovo volto dell’islam, non fondato sul terrore, o sulla paura, ma sulla libertà e il desiderio di comunicare.

La pressione internazionale, l’esempio del Cairo e di Tunisi, il revival dell’Onda (20/3o mila dimostranti), sono tutte variabili che vanno  nella direzione del cambio di regime, ed è per questo che ieri in piazza non abbiamo assistito alla repressione violenta del 2009, pur contando almeno un morto, svariate decine di feriti, arresti in grande stile, confinamenti dei leader dell’opposizione, e qualche impiccaggione che non fa mai male per ricordare al popolo come si risolvono le cose con la forza e la crudeltà. I mullah sanno di non poter tirare la corda, in un contesto in cui i Verdi chiedono all’esercito di unirsi alla protesta, e i gasdotti continuano misteriosamente a esplodere. La visita del presidente turco Gul è stato un motivo in più per evitare figuracce con uno dei pochi Paesi che continuano a dare corda a Teheran, la Turchia. Ieri non è stato il grande giorno, potrebbe esserlo oggi, o domani, chissà. Ma non illudiamoci che sarà una rivoluzione pacifica. O di poter restare alla finestra quando accadrà.