Primarie in Umbria, Calabria e Puglia: come il Pd ha perso la testa

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Primarie in Umbria, Calabria e Puglia: come il Pd ha perso la testa

10 Febbraio 2010

Dalla Puglia all’Umbria, passando per la Calabria. C’è un filo "rosso" che tiene insieme le tre regioni diventate simbolo del caos che regna nel Pd. Non tanto per il colore dei governi locali che finora le hanno amministrate, non solo per le guerre tra correnti e sottocorrenti sui candidati presidenti o sui veti di Di Pietro, quanto per come le primarie (di partito e di coalizione), strumento tanto decantato dai democrat come modello di democrazia interna, alla fine si stiano rivelando semre più un mezzo per regolare conti. Nella migliore delle ipotesi per uscire dall’impasse di scelte che il partito non è stato in grado di fare prima e in modo condiviso; nella peggiore, per sbarrare la strada agli avversari politici.

Se in Puglia il Pd è stato costretto da Vendola a chiamare a raccolta gli elettori  salvo poi incassare la sonora sconfitta del proprio candidato Francesco Boccia e con lui del suo principale sponsor Massimo D’Alema,  ancora più significativo è ciò che è accaduto in Umbria e quello che accadrà tra pochi giorni in Calabria. 

Nella regione più rossa d’Italia,  le primarie rappresentano l’epilogo di una vicenda quasi kafkiana, tutta interna al partito, esplosa in una sorta di faida tra bersaniani da un lato e veltroniani e franceschiniani dall’altro. Con un’evoluzione in corso d’opera che ha finito per amplificare veleni e personalismi: il braccio di ferro che ha lacerato la componente di minoranza democrat (Area democratica). Insomma, una guerra tra “rossi e bianchi” con strascichi polemici e ripercussioni negli assetti delle nomenclature nazionali, che conferma tutta la precarietà di una fusione a freddo tra Ds e Margherita. 

Ma c’è anche chi nei ranghi parlamentari piddì colloca la vicenda umbra nella categoria del “tafazzismo allo stato puro” e ricorda come, invece, solo cinque anni fa Maria Rita Lorenzetti fu riconfermata alla guida della Regione con un voto bulgaro (63 per cento contro il 33,6 sul quale si fermò il candidato del centrodestra) e che allora la lista Uniti nell’Ulivo prese il 45,4 per cento dei voti. Come a dire: bei tempi.  Quelli di oggi, invece, raccontano un’altra storia.

Maria Rita Lorenzetti (dalemiana prima, bersaniana poi)  già pronta per il terzo mandato e con al seguito sondaggi trionfanti ha incassato il “niet” dei suoi e dovuto ripiegare sulla candidata di Catiuscia Marini, messa in pista con l’avallo di Largo del Nazareno. La partita delle primarie lei se l’è giocata con Giampiero Bocci “imposto” con una mossa a sorpresa e a pochi giorni dalle primarie dalla componente che fa capo a Franceschini dopo il ritiro dalla competizione del senatore Mauro Agostini, ex tesoriere del Pd, sostenuto dai veltroniani ma non da tutti gli ex margheriti. Il passo indietro di Agostini ha sollevato un vespaio di polemiche sul "confuso e opaco dispiegarsi di apparati e filiere che stanno infeudando il percorso delle primarie”.

Dalle primarie organizzate in una settimana Catiuscia Marini,  è uscita con l’investitura di candidata presidente (29mila voti sui 25mila di Bocci), anche se i compagni di partito che non hanno digerito tutta la vicenda insistono nel ritenerla un candidato debole, come quando da sindaco di Todi ha "consegnato il comune nelle mani del Pdl" alle ultime amministrative, con in più il compito non facile di ricompattare su di lei un partito che a livello locale porta evidenti i segni di una profonda lacerazione. Tuttavia, sarà la Marini a sfidare altre due donne per la poltrona più alta di Palazzo Cesaroni: Fiammetta Modena, avvocato, presidente del gruppo Pdl in consiglio regionale e Maria Antonietta Farina Coscioni candidata per la lista Pannella-Bonino. Ma i guai per il Pd non sono finiti qui perché Rifondazione Comunista rilancia le primarie di coalizione per le quali ha già pronto il suo candidato, Orfeo Goracci, sindaco di Gubbio.

Un caso quello umbro che amplifica su scala nazionale i delicati assetti interni al partito di Bersani. Non a caso, infatti, quattro parlamentari di Area Democratica, Gentiloni, Zanda, Realacci e Giachetti partendo proprio dal dossier Umbria, hanno chiesto a Franceschini di convocare l’assemblea della componente per rilanciare il senso della mozione congressuale senza tuttavia nascondere “la delicatezza di vicende come quelle connesse agli incarichi nei gruppi parlamentari o alle primarie in Umbria”.

Ma al di là dei malumori che agitano la minoranza piddì, il punto vero di tutto il comlicato puzzle ruota attorno alle primarie che nel caso umbro (ma non solo), sono diventate lo strumento attraverso il quale il partito affida le proprie controversie interne a un referendum sulle persone. Il risultato finale è che a votare sono andati quarantamila elettori contro i settantamila che quattro mesi fa parteciparono alla sfida tra Bersani e Franceschini per la leadership del partito. Una flessione consistente che segnala la disaffezione di iscritti e militanti e suona come un campanello d’allarme per il leader democrat , avvertono alcuni deputati ex Magherita sottolineando che sì, forse occorrerebbe ripensare o ridefinire il meccanismo delle primarie per evitare che altri casi Puglia, Umbria e Calabria mettano a repentaglio la tenuta del partito e soprattutto il suo appeal nei confronti dell’elettorato (militante e potenziale).

Già, la Calabria. Da settimane si trascina il braccio di ferro tra il governatore uscente Agazio Loiero e il suo partito che di ricandidarlo non pare affatto convinto. Al punto che dopo aver tentato di evitarle ma senza riuscirci per l’irrigidimento del presidente uscente, anche qui il partito andrà alla consultazione popolare. Come? Con tre candidati dati tutti in quota Bersani: Loiero,  Giuseppe Bova e Bruno Censore. Ma il paradosso è che mentre domenica l’elettorato democrat è chiamato alle urne, intanto il Pd sta dialogando con Di Pietro per verificare la possibilità di chiudere un accordo sul candidato presidente che il leader Idv ha già  “incoronato”:  l’industriale Filippo Callipo, meglio conosciuto dai calabresi come il “re del tonno”, il quale ha già fatto sapere che di partecipare a primarie di coalizione non ne vuole sapere. 

Non solo: le consultazioni di partito in un primo tempo convocato per domenica scorsa, sono state posticipate di una settimana proprio per dare più tempo ai vertici nazionali di trattare con Di Pietro,  a sua volta indisponibile a sostenere il governatore uscente. Il pressing su Loiero va avanti, nella speranza di un passo indietro al quale, peraltro, lui ha già risposto “no grazie”.

Se Vendola in Puglia ringrazia Bersani e D’Alema per le primarie e in Umbria la resa dei conti nel Pd è solo rinviata, in Calabria a ringraziare i democrat potrebbe essere Di Pietro. Con o senza voto popolare.