Primarie Usa: vincono i Tea Party e adesso Washington trema
19 Maggio 2010
Pennsylvania, Kentucky, Arkansas. Repubblicani e democratici dovranno riflettere su com’è andato il voto per le Primarie di questo “supermartedì” elettorale negli Usa. Il movimento dei Tea Party mostra di essere concorrenziale rispetto ai repubblicani e riesce a imporre i suoi candidati anti-establishment giocando proprio sulla parola d’ordine più cara al Presidente Obama, cambiamento. Una parola che adesso rischia di travolgere la politica americana alle prossime elezioni di mid-term.
In Pennsylvania dice addio alla politica l’ormai ottantenne senatore Arlen Specter, il repubblicano saltato nel carro dei democratici che l’anno scorso aveva votato per il bailout obamiano. Il presidente si è speso di persona con uno spot telefonico per dargli una mano ma non è servito, Specter è stato sconfitto dal rivale Joe Sestak, un liberal ex ufficiale di marina che adesso sfiderà il repubblicano Toomey alle elezioni di medio termine per il posto in Senato.
In Arkansas, la senatrice democratica Blanche Lincoln, anche lei pesantemente appoggiata dalla base clintoniana del partito, dovrà aspettare il secondo turno delle Primarie per scoprire se gli elettori si fidano ancora di lei. Ha preso il 44 per cento, contro il 42 del suo rivale Bill Halter. La Lincoln ha pagato la sua politica centrista che le ha alienato sia il voto dell’elettorato progressista che quello moderato (prima opponendosi alla opzione pubblica nella riforma sanitaria e poi comunque votandola). Un brutto segnale per il gran timoniere della Casa Bianca, anche lui impegnato in una politica che molti definiscono centrista.
Ma neppure i repubblicani possono cantare vittoria. Sempre in Pennsylvania, dove si votava anche per un posto alla Camera dei rappresentanti dopo la morte del deputato Murtha – un’elezione che per molti osservatori doveva essere un indicatore dei trend anti-obamiani della politica americana, alla fine ad imporsi è stato comunque un democratico, Marc Critz, che ha battuto il repubblicano Tim Burns. Insomma, l’ondata repubblicana si è franta sugli scogli di un elettorato indeciso che non sembra ancora pronto ad abbandonare le promesse democratiche.
Il messaggio peggiore per i due partiti storici però arriva dal Kentucky dove a imporsi nelle primarie repubblicane è stato l’uomo dei Tea Party, Rand Paul, figlio di quel Ron Paul che più di altri senatori dell’elefantino ha incarnato gli ideali del movimento che sta cambiando la politica Usa: come suo padre, anche Rand ha incentrato tutta la sua campagna sulle tasse, contro il bailout, contro le politiche stataliste e all’insegna di un ritrovato isolazionismo degli Stati Uniti in politica estera (è sempre stato critico verso la guerra in Iraq). L’affermazione di Paul acquista ancora più valore visto che l’apparato repubblicano aveva appoggiato il suo rivale, Grayson, con tutta la forza possibile (Grayson era sostenuto dal potente senatore McConnel).
Niente da fare, nel suo discorso dopo aver appreso della vittoria Paul ha annunciato che d’ora in avanti la politica di Washington dovrà fare i conti con i Tea Party e potrebbero essere conti molto salati: “Ho un messaggio, un messaggio dei Tea Party, un messaggio forte e chiaro: siamo venuti per riprenderci il governo”. Il movimento a questo punto non solo è in grado di tenere sotto pressione e influenzare il partito repubblicano, ma ha anche dimostrato di saper vincere le elezioni quando presenta i suoi candidati.
La situazione, dunque, appare confusa. Vincono i Tea Party ma questo non rafforza, anzi probabilmente indebolisce l’establishment del partito repubblicano. Va detto infatti che entrambe gli sfidanti delle primarie democratiche – sempre in Kentucky – hanno ottenuto un numero maggiore di voti rispetto a Rand Paul. I Democratici, invece, pregano che la Lincoln non perda in Arkansas, perché sarebbe, come abbiamo detto, un segnale che le politiche centriste seguite anche del Presidente non hanno convinto l’elettorato americano. La vittoria alle suppletive in Pennsylvania, infine, in un distretto considerato più conservatore che in passato, lascia all’Asinello la speranza che non tutti i giochi siano stati fatti prima delle elezioni di medio termine.