Processo breve, si parte dal Senato. Nuovo altolà di Fini al Cav.
12 Novembre 2009
L’intesa sul processo breve c’è. Almeno per ora. Dopo il faccia a faccia tra Berlusconi e Fini il Pdl accelera e oggi al Senato presenta il disegno di legge che riduce i tempi dei procedimenti per gli imputati: due anni per ogni fase di giudizio così da avere in sei anni sentenze definitive in Cassazione. Ma a fine giornata le parole del presidente della Camera riaccendono le fibrillazioni nella maggioranza. Fini la validità della legge ma avverte: il patto reggerà se il testo non cambierà durante il suo iter parlamentare.
L’obiettivo di fondo del pacchetto giustizia del quale il ddl sul processo breve è il primo tassello, è quello di superare il conflitto tra sovranità popolare e sentenze, cioè tra politica e giustizia, risolvendo una volta per tutte quell’anomalia tutta italiana che esiste da quindici anni: il tentativo di una minoranza di magistrati politicizzati di delegittimare per via giudiziaria ciò che gli elettori hanno deciso liberamente. Berlusconi e i processi che lo riguardano (Mills e diritti tv) c’entrano ma in gioco c’è soprattutto un premier eletto democraticamente, dunque legittimato dal popolo a governare. E dopo il no della Consulta al Lodo Alfano tutto ciò diventa urgente.
Per questo la giustizia è diventato "il" tema dell’agenda politica e i casi Cosentino in Campania, Vendola in Puglia (il governatore è stato denunciato dai carabinieri nell’ambito di un filone d’inchiesta sulla sanità ma non è indagato) o le inchieste aperte in Lombardia e Sicilia evidenziano. Per questo la maggioranza accelera sulla riforma partendo dalla legge sul processo breve considerata "l’avvio di un percorso di civiltà che riguarda tutti i cittadini", perché l’intento principale è quello di una norma che garantisca la non politicizzazione dei processi, che sia in linea con i principi garantistici richiesti dall’Europa e che porti il verdetto della sovranità popolare e l’autonomia dell’ordine giudiziario a non entrare in rotta di collisione.
Ieri i tecnici del Pdl e il consulente giuridico del premier Niccolò Ghedini (che si è diviso tra le Camere e Palazzo Grazioli dove il premier ha ricevuto per due volte nell’arco di poche ore il Guardasigilli Alfano) hanno lavorato alla limatura del testo del quale il presidente dei senatori Maurizio Gasparri sarà primo firmatario insieme al vicepresidente Gaetano Quagliariello. Lavoro incentrato anche sul rebus della norma transitoria che dovrebbe consentire l’applicazione delle nuove norme ai processi in corso. Per il presidente della Camera Fini occorre stabilire che la nuova normativa possa essere estesa solo agli incensurati e solo per i processi in primo grado per non ampliare eccessivamente la platea dei ricorrenti, ma nel Pdl gli esperti in diritto controbattono che così si creerebbe una sorta di disparità tra cittadini sottoposti a giudizio.
In altre parole, chiunque si trovasse in appello, magari da sei anni, potrebbe sollevare la questione di costituzionalità di fronte alla Consulta proprio per disparità di trattamento e l’effetto finale inciderebbe sull’efficacia della norma. Tra le novità che potrebbero figurare nel ddl c’è la messa a punto di un elenco di reati esclusi all’estinzione processuale prevista nel caso in cui il giudizio superi i due anni del primo grado, i due dell’Apello e gli altri due in Cassazione. La prescrizione processuale varrà per reati con pene massime non superiori ai dieci anni e solo nel caso in cui l’imputato sia incensurato, ma non avrà alcun valore nè potrà essere applicata ai reati di terrorismo, mafia o grave allarme sociale (rapina, estorsione, omicidio). Tipologia di reati, dunque, tagliata fuori dal processso "breve" che trattandosi di una norma processuale, avrà efficacia per il futuro. Tuttavia saranno esclusi anche dalla norma transitoria del ddl che prevede che il meccanismo dell’estinzione processuale sia applicata anche ai processi già aperti ma solo a quelli di primo grado.
Sul piano politico la giornata registra la mobilitazione della maggioranza su due fronti: il pacchetto di riforma della giustizia che a breve arriverà in Parlamento e sulla richiesta di arresto formulata dai magistrati di Napoli nei confronti del sottosegretario all’Economia Nicola Cosentino che ha chiesto di essere ascoltato dalla Giunta per le autorizzazioni della Camera. Al Senato tra le norme della Finanziaria sono inseriti alcuni capitoli che riguardano il settore giustizia e in particolare soldi da destinare al comparto. Nel plafond complessivo che dovrebbe superare il miliardo di euro, ci sono anche le risorse provenienti dalla confisca dei beni alla mafia che confluiranno in un "fondo per la sicurezza e la giustizia".
Sulla vicenda Cosentino alcuni parlamentari del Pdl (Giorgio Stracquadanio, Manlio Contento, Silvano Moffa e Giancarlo Lehner) hanno presentato un’interrogazione al ministro della Giustizia Alfano al quale chiedono un’ispezione alla procura di Napoli per "verificare la fondatezza dei gravi rilievi espressi dal procuratore generale Vincenzo Galgano, lo scorso 15 ottobre al Corriere del Mezzogiorno nella quale Galgano denuncia "il fanatismo di alcuni pm che provoca sofferenze alla gente e alla collettività". Una richiesta che, spiegano i deputati pidiellini, "prescinde dal caso Cosentino".
Ma a tarda sera le dichiarazioni di Gianfranco Fini a "Otto e mezzo" su La7 provocano nuove fibrillazioni nel centrodestra. Il presidente della Camera conferma il sì a una legge di iniziativa parlamentare che riduca i tempi dei processi ma vincola la stabilità del patto col premier al fatto che il testo che oggi verrà presentato a Palazzo Madama non "sia diverso nei principi su cui ieri abbiamo concordato. Se è in contraddizione lo dirò con la stessa schiettezza con cui l’ho detto ieri. Bisogna giocare a carte scoperte e non ricorrere ad artifizi giuridici che portino a un’amnistia di fatto". Parole che nei ranghi del Pdl vengono lette come l’ennesimo altolà indirizzato al Cav. e con una certa preoccupazione circa i destini della legislatura.