Prodi sogna l’America ma la coppa resta a Valencia
25 Luglio 2007
Porto che vince non si cambia e figurarsi se i ricchi e pragmatici svizzeri potevano rivoluzionare i loro piani per far contenti Prodi e Parisi. La Spagna si tiene stretta l’America’s Cup: il consorzio Alinghi ha deciso di difendere per la seconda volta a Valencia il trofeo velico più prestigioso e con il maggior fascino del mondo. Si gareggerà di nuovo fra due anni, distanza forse troppo ravvicinata per una macchina organizzativa elefantiaca ma necessaria per non sovrapporsi ai mondiali di calcio di Sudafrica 2010 e perdere così molto dell’appeal mediatico.
Ha vinto Valencia, evviva Valencia; viva Zapatero e abbasso Prodi. Perché il nostro governo ci aveva provato a chiedere a Ernesto Bertarelli, il patron di Alinghi, di organizzare l’evento in Italia. Il Presidente del Consiglio e il ministro della Difesa avevano messo sul tavolo due proposte: la prima scelta era l’isola della Maddalena, già annunciato teatro del vertice del G8 del 2009, in seconda fila Trapani. Prodi e Bertarelli ne avevano parlato a Palazzo Chigi e, se da parte elvetica nessuno aveva voluto sbilanciarsi, sul fronte italiano era stato fatto trapelare un ottimismo immotivato e basato sul nulla. Perché la prima scelta di Alinghi è sempre stata Valencia e solo la cortesia della diplomazia sportiva aveva aperto un varco un dialogo con Roma.
Restava solo la divergenza economica tra il governo regionale della comunità valenciana e l’esecutivo centrale : dalla città di Calatrava chiedevano a Madrid uno sforzo maggiore, dai 90 milioni assicurati nell’ultima edizione a 105-110 milioni di finanziamenti. Zapatero ha subito detto sì, ha incontrato Bertarelli e chiuso in scioltezza la trattativa. E così la Spagna si godrà la 33esima edizione della Coppa America (che non sarà più targata Louis Vuitton ma Rolex) e l’Italia resterà a guardare.
Non è solo roba di sport, sia chiaro. E’ appeal, pianificazione e, dove non arrivano gli sponsor, si muove la politica. Male da noi – vedere per credere la stucchevole sovrapposizione tra Milano e Roma per le Olimpiadi del 2016 o 2020 – e bene altrove.
Basti pensare all’impegno profuso dalla Russia e dal suo presidente Putin per portare a Sochi i giochi invernali del 2014 o anche alle mosse francesi per difendere il Gran premio di Formula Uno di Magny-Cours. All’indomani dell’edizione 2007, il padre padrone della Formula Uno Bernie Ecclestone aveva annunciato la rinuncia al circuito di Nevers. Ma per salvare Magny-Cours è sceso in pista in prima persona il premier François Fillon, dapprima con una serie di incontri e poi con impegni precisi a livello di sostegno finanziario per difendere la tappa transalpina del circus dei motori. Una “rupture” in stile sarkozyano anche nella politica sportiva, per marcare una volta di più la distanza da Chirac e dalla cocente sconfitta per l’assegnazione delle Olimpiadi del 2012, che Parigi si è vista scippare da Londra. Un modo per difendere il paese agli occhi della comunità internazionale, in un momento in cui la Cina mette i suoi piedoni anche nel ricco piatto dello sport. E l’Italia arranca anche qui: la cancellazione del Gp di Imola – fuori dal cartellone dopo il 2006 – brucia ancora agli sportivi e agli sponsor.
Se poi arriviamo al calcio, i guai sono se possibile ancora più gravi. Gli europei del 2012 resteranno la grande occasione perduta. Organizzare il torneo continentale sarebbe stato il pretesto per cambiare i nostri vecchi e poco sicuri stadi e riprendere confidenza con l’organizzazione di grandi eventi ma addirittura Polonia e Ucraina sono sembrate più credibili e affidabili di noi.
Dimenticare Torino diventa la parola d’ordine. Le olimpiadi invernali dello scorso anno sono un ricordo, per non essere più periferia anche nello sport serve un cambio di passo anche nella politica. Valentia insegna.