Prodi, una caduta senza dignità
25 Gennaio 2008
Al Senato, in occasione del dibattito
sulla fiducia, è stata scritta una delle pagine più indegne della politica
italiana e forse dell’intero mondo occidentale.
Il professore si è gettato prono davanti
al senatore Mastella e l’ha prima adulato nella maniera più servile. Poi, l’ha
implorato senza vergogna: gli ha promesso – neppure troppo larvatamente – posti
al governo, al sottogoverno e chissà dove, purché gli consentisse di rimanere
incollato alla poltrona restituendogli la fiducia che gli aveva tolta. Senza
pudore. Come si dice a Napoli, «la faccia mia sotto i piedi vostri», così, praticamente,
il capo del governo della Repubblica Italiana si è rivolto ad un ex ministro
che gli ha tolto la fiducia, nella speranza di farlo recedere.
E costui sarebbe l’indomabile
«combattente», il politico «diverso», quello che preferisce «perdere e non
perdersi», colui che resiste impavido a tradimenti e cospirazioni, e coerente
li affronta impavido a viso aperto. Be’, se ancora qualcuno poteva avere
l’intenzione di propinarci poi la favola, se non il mito, del Prodi cavaliere
dell’ideale caduto con onore a causa del solito Gano (stavolta non da Magonza,
ma da Ceppaloni), il suo indecente discorso deve averla stroncata sul nascere
quest’intenzione. D’altronde per loro l’aborto è un diritto di civiltà.
Però c’è da chiedersi perché. Perché
quest’umiliazione, non tanto per il professore, del quale invero poco
c’importa, ma per la
Repubblica, per l’Italia, per la politica o quello che ne
rimane.
La risposta banale cercherebbe la causa
nella solita brama di potere, nel consueto attaccamento alla poltrona. Ma,
sebbene questo non possa essere escluso, forse, e al di là delle motivazioni di
competenza dello psichiatra, c’è dell’altro. E non solo le prossime nomine e
distribuzioni d’incarichi di competenza governativa.
Va anche detto che il professore è
dossettiano fin nel midollo, e perciò si è dato la missione di rieducare
gl’italiani e rifare l’Italia, gli uni e l’altra ammalati di spirito borghese e
troppo attaccati al profitto, al denaro, alla vita comoda. Come scriveva un
altro lucido e convinto dossettiano, anche lui cattolico «adulto» e
democratico, il professor Pietro Scoppola, recentemente scomparso, «Dossetti […] propugnava una riforma per l’Italia così radicale d’approssimarsi negli
effetti a quelli di una rivoluzione con mezzi pacifici. […] manifestava un giudizio fortemente negativo
sui ceti medi, sul capitalismo e sulla stessa libertà economica». Che
questo giudizio e questo intento siano stati l’essenza stessa della politica
del governo presieduto dal professore – e che quindi la sua alleanza con la
sinistra radicale (ma non si autodefiniscono comunisti?) sia da considerare
strategica e conforme alla sua autentica indole politica – lo dimostrano al di
là del ragionevole dubbio i fatti del suo governo. Che ha letteralmente
perseguitato, ovviamente alla maniera del XXI secolo, e quindi piuttosto con
gli strumenti dell’amministrazione fiscale che con quelli della polizia
politica, il ceto medio, i «capitalisti», la stessa libertà economica.
Ed il
professore è convinto che questo proposito – che secondo lui dà alla sua azione
politica il crisma della finalità eletta, in quanto contrasterebbe gli «egoismi»
individuali e sociali – lo renda antropologicamente superiore e perciò manifestamente
destinatario del compito di governare il Paese. Perciò egli non può rassegnarsi
– nonostante non abbia in realtà neppure vinto le elezioni, ma il dato numerico
è per lui nulla rispetto a quello morale, che in un certo senso lo legittima
dando alle cifre una valenza diversa – all’interruzione dell’opera appena
iniziata. E così si è ridotto all’indecente questua in Senato, che per lui e
per i suoi viene riscattata – come è stato e sarebbe stato ancora riscattato lo
stesso sen. Mastella – dalla grandezza del fine.
Peccato che gl’italiani non la pensino
propriamente così. Soprattutto se i conti pubblici vengono risanati, seppure
sono stati risanati, a scapito dei conti privati e delle famiglie, che invece
dovrebbero essere al centro delle preoccupazioni del governo, ma non certo
secondo la prospettiva tutta ideologica e tutta socialista che dipendano dal
bilancio dello Stato fino ad identificarsi con esso. E se, come si è ascoltato
nelle dichiarazioni di voto, parte cospicua della variegata coalizione di
centrosinistra è impegnata ad attaccare la Chiesa con espressioni più ridicole che
offensive, ma rivelatrici di un’antica e radicata avversione per il suo ruolo
civilizzatore e la sua missione (questa sì) educatrice. La stessa parte che ha
definito «conquista di civiltà» l’aborto, la «famiglia» omosessuale e la
selezione e la manipolazione eugenetica dell’uomo allo stato embrionale.
Queste parole, da sempre, non offendono
più di tanto le orecchie dei «cattolici adulti», sostenitori della laicità (rectius, laicismo) di Stato, in nome di
una pretesa (quanto infondata e modernista, perché nega il carattere naturale,
e quindi valido erga omnes, di alcuni
principi etici), esigenza di purezza della Chiesa, che dovrebbe parlare solo
alle coscienze individuali ed occuparsi solo delle «cose di Dio», non pretendendo
che la legge recepisca tali principi di morale e diritto naturale. Vorrei
capire, però e conclusivamente, come non possano offendere le orecchie timorate
di tanti cattolici, che adulti non dicono di essere già diventati, e che pure
hanno votato la fiducia al professore ed alla sua compagnia di giro.