
Professione: content creator, il Senato approva

03 Agosto 2022
Una stanza, un computer, un microfono, una videocamera. A volte una lampada anulare, per migliorare l’illuminazione e la resa del girato. La gestione del lavoro è spesso solitaria, sebbene sempre più spesso è un intero team a dividersi i singoli compiti. E i temi? I più disparati! Dal gaming (ovvero, la registrazione di una propria sessione di gioco di un videogame) alla divulgazione scientifica. Passando per le recensioni di serie tv, libri e film e per i commenti alle notizie del giorno. Sono i content creator, cioè i creatori di contenuti digitali, e solo di recente in Italia sono stati riconosciuti come figura professionale vera e propria.
Dal 2 agosto 2022 il Senato della Repubblica riconosce la professione del content creator col Ddl Concorrenza
Il content creator è stato di fatto riconosciuto come parte di quelle che definiremmo professioni digitali, ottenendo peraltro un codice Ateco ad hoc. All’interno della Legge annuale per il mercato e la concorrenza 2001 (Ddl Concorrenza), infatti, vi è un emendamento (qui il testo completo) tutto dedicato a queste figure, introducendo una regolamentazione per chi da anni sviluppa contenuti digitali.
All’articolo 28 si legge:
ART. 28. Al comma 1, dopo la lettera l), aggiungere le seguenti:
l-bis) individuazione di specifiche categorie di controlli per i creatori di contenuti digitali, tenendo conto dell’attività economica svolta;
l-ter) previsione di meccanismi di risoluzione alternativa delle controversie tra creatori di contenuti digitali e relative piattaforme.
È grazie al WMF, We Make Future – Festival dell’innovazione digitale, che è stato sollevato il problema di tale riconoscimento
We Make Future, ovvero WMF, può essere considerato a tutti gli effetti uno dei principali sostenitori di questo emendamento. Il portavoce di WMF Cosmano Lombardo si è impegnato per favorire incentivi al mondo del digitale, inevitabile e ormai inconfutabile ultima frontiera del nostro quotidiano. Ma che sembrava ancora invisibile agli occhi della politica.
Nel giugno 2021, WMF istituisce un tavolo di lavoro e ottiene un’audizione alla Camera. L’obiettivo? Discutere la possibilità di creare delle norme per disciplinare e tutelare i lavoratori digitali. Lombardo ha anche raccolto le opinioni e le voci dei maggiori content creator italiani di diversa natura dalla divulgazione al gaming. In questo modo, ha potuto presentare al Parlamento un quadro della situazione delle necessità quanto più preciso dal punto di vista di chi in quel settore è impiegato anche da anni. Finalmente, le loro richieste sembrano essere state ascoltate e accolte. Gli impiegati della digital tech possono gioire di un primo riconoscimento di fronte alla legge e allo Stato, che supera la chiusura di fronte a quella che è un’enorme innovazione nel campo del lavoro.
Era auspicabile che l’Italia superasse i pregiudizi, riconoscendo ai content creator digitali l’identità di lavoratori
Un tempo chi si occupava della creazione di contenuti online veniva facilmente bollato dai più come “youtuber”. Certo un termine ombrello, che aveva la pretesa di raccogliere e riunire indiscriminatamente ogni declinazione di quella che difficilmente poteva essere pensata come una professione financo remunerativa. Chi parlava di fronte a una videocamera per poi caricare il montato e diffonderlo online sembrava non poter ambire a un riconoscimento, anche quando i propri contenuti cominciavano a racimolare visualizzazioni e notorietà, e conseguentemente denaro. Chi aveva questa opinione sottovalutava l’enorme mole di lavoro che non sembra celarsi sotto un semplice video.
Al realizzatore o al team di realizzatori sono richieste non scarse competenze digitali, nonché di scrittura, di grafica, di editing, di montaggio audio e video e di esposizione affinché il proprio prodotto risulti convincente e venga diffuso in rete con successo.
A ogni evidenza, è praticamente impossibile oggi non aprire un qualsiasi social o anche semplicemente YouTube senza trovarsi di fronte a un contenuto multimediale. Non si contano infatti i video di ricette, le recensioni dell’ultima stagione di Better Call Saul o le opinioni sulla notizia del giorno che quotidianamente incontriamo scorrendo la bacheca di Instagram, Facebook, TikTok o Twitter.