Prostitute e soldati: i bambini birmani secondo il regime

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Prostitute e soldati: i bambini birmani secondo il regime

Prostitute e soldati: i bambini birmani secondo il regime

02 Novembre 2007

Qualcuno, nei giorni nei giorni in cui
la giunta di Than Shwe ha represso con la violenza le proteste dei monaci
buddisti, si sarà chiesto dove il regime birmano trovi tutti quei soldati
disposti a incrementare le fila di un esercito sanguinario e dispotico. La
domanda assume poi maggior rilievo se si tiene conto di quei soldati – non
troppi, per la verità – che hanno rifiutato gli ordini del regime e si sono
inchinati di fronte ai monaci nelle strade. 

La risposta a queste domande, una
risposta agghiacciante e purtroppo poco sorprendente, sta in un documento
d’accusa appena pubblicato da “Human Rights Watch”, proprio mentre i
monaci sono nuovamente tornati in strada chiedendo democrazia e libertà per
Aung San Suu Kyi. La risposta, dicevamo, è semplice: molti dei soldati sono
bambini. Con il termine “bambini”, precisa l’organizzazione
umanitaria, s’intendono tutti i minori di diciotto anni: ma assai comuni sono i
casi di bambino-soldato di soli dieci anni.

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Andiamo con ordine. L’atto d’accusa è
costituito da un documento di 150 pagine stilato da “Human Rights
Watch”, organizzazione non governativa (con sede a New York) che monitora
il rispetto dei diritti umani nel mondo secondo le linee generali della
Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo. Il documento è esplicito sin dal titolo:
“Venduti per essere soldati. Il reclutamento e l’uso dei bambini soldato
in Birmania”.

Le prime righe del documento mettono
subito in chiaro il dramma a cui ci troviamo di fronte, presentando il caso di
Maung Zaw Oo: dall’età di quattordici anni, Maung è già stato reclutato
dall’esercito ben due volte. Come? Quattordicenne nel 2004, il bambino è stato
preso da un soldato che ha ricevuto, come ricompensa, 20.000 kyat (circa 15 $),
un sacco di riso e una grossa latta d’olio. Il battaglione a cui apparteneva il
soldato l’ha in seguito rivenduto a un grande centro di reclutamento per un
somma superiore, 50.000 kyan: una vera e propria compravendita al rialzo. Dopo
il primo reclutamento, Maung è riuscito a fuggire: ma l’anno seguente è stato
nuovamente catturato e mandato nell’esercito. “All’età di 16 anni, Maung
Zaw Oo sembra rassegnato al suo destino” afferma il documento di
“HRW”: l’esercito diventa ben presto una soluzione obbligata per
moltissimi bambini, anche più piccoli di lui. L’altra faccia della medaglia, a
patto di riuscire a fuggire dal reclutamento, è la povertà assoluta.

“HRW” presenta molti casi simili,
e anche più disperati, di quello di Maung: bambini di dieci anni costretti a
lasciare le famiglie, per rinfoltire le fila di un esercito alla disperata
caccia di reclute per mantenere salda la dittatura. Tutti i soldati maggiorenni
intervistati dall’organizzazione parlano della presenza di bambini nelle fila
dei loro battaglioni. I bambini vengono adescati prevalentemente nel luoghi
pubblici: stazioni e mercati. L’ipotesi di un rifiuto non viene neppure
contemplata: i minori esitanti vengono minacciati e picchiati.

Secondo la legge birmana, l’esercito
è costituito da volontari maggiorenni: al momento della domanda di
reclutamento, gli interessati dovrebbero fornire documenti che comprovino il
raggiungimento della maggiore età. Ma questo, rivela il documento, accade assai
raramente:  è dagli anni novanta che il governo, a corto di reclute,
riempie tranquillamente le fila dell’esercito con dei bambini. Emblematica, a
questo proposito, la testimonianza di un sedicenne: “Hanno compilato un modulo
con i miei dati, e quando ho risposto che avevo 16 anni mi hanno detto: ‘Tu ne
hai 18, ripetilo, 18 anni'”. Un altro intervistato ha raccontato di essere
stato arruolato per la prima volta a 11 anni: altezza, 1.30m; peso: poco più di
30 kg. Il rischio, secondo “HRW”, è che la pratica dei
bambini-soldato possa subire un ulteriore incremento a fronte della necessità
di arginare le proteste dei monaci.

Nella seconda parte di “Venduti per
essere soldati”, “HRW” stila poi una lista di richieste
ufficiali per le Nazioni Unite e la comunità internazionale. Principali
questioni, come da tempo sostengono Stati Uniti, Francia e Inghilterra, sono la
necessità di bloccare il flusso d’armi verso la Birmania e l’urgenza di nuove –
efficaci – sanzioni contro il regime. Jo Becker, membro dell’organizzazione
umanitaria, ha denunciato i generali birmani che “tollerano l’arruolamento
dei bambini e non puniscono coloro che lo esercitano”: ma più che
tollerarlo, viene da pensare, sono i primi ad ordinarlo.

E le bambine birmane? Se non sono utili
per le armi, lo sono per il sesso a pagamento. A lanciare questa ulteriore,
pesante accusa è un reportage del quotidiano inglese “The Guardian”,
secondo il quale per 100 $ è possibile passare la notte con una tredicenne: più
sale l’età della prostituta, più il prezzo si abbassa. Pratiche di questo tipo
sarebbero diffuse in tutti i maggiori nightclub birmani, così come nei locali
d’infima categoria. Principali clienti, gli stessi ufficiali governativi. Per
chiarire definitivamente la portata e la drammaticità del fenomeno, il
quotidiano riporta alcuni dati: 360.000 birmani sarebbero sieropositivi, uno
dei più ali tassi del sud-est asiatico; fra le prostitute, la percentuale di
sieropositive è del 30%.

Le due notizie, quella dei bambini
soldato e quella delle baby prostitute, sono emerse a distanza ravvicinata,
quasi contemporaneamente al sorgere di nuove – ancora ridotte – proteste da
parte dei monaci. La concomitanza degli eventi potrebbe non essere fortuita: il
3 novembre, infatti, è previsto il ritorno in Birmania dell’inviato dell’Onu
Ibrahim Gambari, dopo un lungo tour diplomatico nei maggiori paesi asiatici.
Gambari dovrebbe fermarsi in Birmania fino all’8 novembre: improbabile, per
almeno cinque giorni, una repressione armata di eventuali ulteriori
manifestazioni. La presenza dell’inviato, inoltre, dovrebbe garantire una
maggiore visibilità mediatica a quanto accadrà sulle strade di Rangoon e delle
altre città principali. La speranza, dopo la pubblicazione di queste notizie, è
che Gambari chieda conto al regime anche dell’arruolamento di bambini nelle
fila dell’esercito: un ulteriore scandalo sulla groppa di un regime sempre più
isolato dal mondo occidentale.

Da Pechino, intanto, il ministro degli
Esteri francesi Bernard Kouchner si è fatto sentire dicendo chiaramente quello
che tutti – Cina compresa – sanno benissimo: “Sono sufficienti le
sanzioni? Io personalmente credo che non siano sufficienti. Quindi dobbiamo
lavorare su ulteriori sanzioni e ulteriori incentivi, non per il regime ma per
la popolazione birmana”. Nessun passo avanti, ovviamente, è venuto da
parte della Cina: il gigante asiatico, maggior sostenitore di Than Shwe, resta
fermo sulla contrarietà a qualsiasi misura contro il regime.

Tutto, insomma, è nelle mani di Gambari: ma finché la Cina proteggerà il
regime (e gli interessi in ballo sono troppo grandi perché smetta di farlo),
gli spazi di manovra per il nigeriano restano angusti. Ma qualche esile
speranza, ovviamente, resta anche in quei monaci eroici che hanno deciso di
tornare in piazza, in barba agli arresti e alle torture. Mercoledì in strada
erano poco più di cento, non molti: ma anche ad agosto una piccola fiammella
rossa è presto diventata una valanga in piena.