Protesta dei giovani nazionalisti contro gli Usa

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Protesta dei giovani nazionalisti contro gli Usa

12 Giugno 2008

E’ durato poco l’idillio tra il presidente della Corea del Sud Lee Myung-bak e l’opinione pubblica del suo Paese. Martedì scorso, migliaia di persone (100 mila secondo la polizia, 700 mila a detta degli organizzatori) sono scese in piazza a Seoul per protestare contro la decisione del governo di cancellare il bando sull’importazione della carne bovina americana, introdotto nel dicembre 2003, dopo che negli Stati Uniti si registrò un primo caso di ‘mucca pazza’. 

Le dimostrazioni – 34 finora – sono cominciate il 22 aprile scorso, subito dopo la stipula dell’accordo con Washington. I primi a muoversi sono stati gli studenti, seguiti poi da sindacati, organizzazioni degli agricoltori e degli allevatori, colletti bianchi e anche esponenti della Chiesa cattolica. Il 10 giugno è una data altamente evocativa per il popolo sud-coreano. E’ l’anniversario della repressione del movimento studentesco che nel 1987 pose fine alla dittatura militare di Chun Doo-hwan. Le forze dell’ordine hanno parlato in proposito della più grande manifestazione dopo quelle degli anni Settanta e Ottanta contro la dittatura dei militari. 

La maggioranza dei sud-coreani contestano al proprio presidente di permettere l’importazione delle carni americane senza prevedere adeguati controlli sanitari. Il timore è che ciò possa esporli ai rischi del morbo. A scongiurare questa convinzione (a dire il vero, amplificata da una forte campagna mediatica), non sono bastate le raccomandazioni del World Organization for Animal Health, che lo scorso settembre aveva dichiarato sicura la carne bovina americana.

I sud-coreani, in particolare, non perdonano al loro presidente di aver accettato condizioni molto meno restrittive rispetto a quelle sottoscritte in materia da Giappone e Taiwan. Per calmare le acque, e allo stesso tempo salvare l’accordo, Lee si è attivato per rinegoziare i suoi termini. Il modello assunto è appunto quello adottato da Tokyo e Taipei: convincere gli Stati Uniti a non esportare la carne di bovini con più di 30 mesi, quelli a maggior rischio di contrazione del morbo. Allo scopo, ha inviato lunedì scorso una delegazione a Washington, mentre nel prossimo fine settimana Kim Jong-hoon, il ministro del commercio, incontrerà il suo omologo americano per ‘approfondimenti’. 

Dietro le proteste si celano anche le preoccupazioni delle organizzazioni degli allevatori sud-coreani, che rischiano di perdere ampie quote di mercato per colpa della carne americana, molto più a buon mercato rispetto a quella locale (costa la metà). A spingere in senso contrario sono invece i grandi investitori stranieri del comparto alimentare. Gli allevatori americani vogliono a tutti i costi riguadagnare il mercato alimentare sud-coreano, che fino al bando del 2003 era il terzo in ordine di importanza per le loro esportazioni (800 milioni di dollari l’anno). 

Non solo import di carne americana, però. In realtà, è l’intera politica del presidente in discussione. Lee si ritrova ad affrontare la prima grande sfida politica da quando è entrato in carica. Per uscire dalla crisi senza indebolire la presidenza, l’esecutivo ha offerto in blocco le proprie dimissioni. Lee pare orientato ad accoglierle e a procedere a cambi sostanziali nella compagine di governo. 

Si parla della nomina di Park Geun-hye a primo ministro. Park è la figlia dell’ex dittatore militare Park Chung-hee e guida la corrente più conservatrice del partito di governo, il Grand National Party (Gnp). E’ stata lei a sfidare Lee nelle primarie del partito per la nomina del candidato alla presidenza. Un accordo tra i due pesi massimi del Gnp rafforzerebbe sicuramente l’unità del partito, ma non garantirebbe certo la fine delle proteste. 

Lee, ex sindaco della capitale, è stato eletto trionfalmente lo scorso dicembre perché considerato dalla popolazione il candidato migliore per risollevare l’economia nazionale, colpita da un forte rallentamento e dall’aumento dei prezzi dei carburanti e delle materie prime. La stagnazione economica è proseguita però, mentre l’inflazione ha continuato a galoppare. In pochi mesi l’indice di gradimento del presidente è crollato a poco meno del 20%. 

L’accordo sull’importazione della carne americana è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso, non l’unico motivo alla base della crisi. Al presidente si contesta anche il piano di privatizzazione di alcune compagnie pubbliche, osteggiato dai sindacati e dalla lobby burocratica; quello di riforma dell’educazione e del sistema sanitario nazionale; il progetto del ‘grande canale fluviale’, che dovrebbe collegare Seoul a Busan; l’assenza di dialogo con l’opposizione. 

Lee è accusato di voler compiacere troppo gli americani, a spese anche degli interessi della popolazione. La sua decisione di rivedere le relazioni con la Corea del Nord, improntandole a una maggiore durezza rispetto a quanto fatto dai suoi predecessori progressisti, ha prodotto finora pochi risultati e molta inquietudine per l’irrigidimento del regime di Kim Jong-il. Il pragmatismo in politica estera è stato un cavallo di battaglia della sua campagna elettorale. Ricostruire uno stretto rapporto con gli Usa, messo a dura prova dalle scelte dell’ex presidente Roh Moo-hyun, è per lui una priorità. 

Negli auspici del presidente sud-coreano, poi, la fine del bando sulle importazioni delle carni americane dovrebbe facilitare la ratifica da parte del Congresso Usa di un accordo di libero-scambio sottoscritto l’anno scorso dallo stesso Roh. Diversi leader congressuali a Washington (tra cui il candidato democratico alla presidenza Barack Obama), vincolano però la ratifica del trattato alla piena apertura del mercato sud-coreano alle carni americane (come anche alle automobili made in Usa). 

Il free-trade agreement con la Corea del Sud è molto importante per gli Stati Uniti. E’ il più impegnativo accordo in materia mai concluso con un Paese asiatico. Per il presidente sud-coreano ha invece una duplice valenza: quella di rafforzare l’alleanza politica ed economica tra i due Paesi e di aiutare l’ansimante economia di Seoul, schiacciata tra il mercato dell’high-tech giapponese e quello manifatturiero a basso costo cinese. 

La crisi attuale è cavalcata dal maggiore partito di opposizione, lo United Democratic Party (Udp), uscito malconcio dalle ultime elezioni. Secondo diversi osservatori, la sconfitta elettorale dell’Udp si spiega con la perdita del sostegno moderato, da ricondurre alla politica di Roh. L’ex presidente – in particolare nel suo ultimo scorcio di governo – ha cercato ostinatamente di sviluppare una politica estera e di difesa più autonoma dagli Usa, allo scopo di ritagliare per il Paese un ruolo geostrategico diverso, di mediazione tra Washington e Pechino.

Quella della tutela americana è una questione centrale nel dibattito politico in Corea del Sud. I conservatori come Lee considerano l’impegno degli Usa nel Paese molto importante, in particolare come deterrente contro un eventuale colpo di coda di Pyongyang. Al contrario, la nuova base dell’Udp, formata per lo più da giovani nazionalisti, lo percepiscono come un ostacolo alla riunificazione. Ai loro occhi, le decisioni che il governo prenderà sul commercio della carne americana, rappresentano un vero e proprio test per valutarne la capacità di assumere posizioni autonome dagli Stati Uniti.

Se a Roh è stata contestata una eccessiva acquiescenza alle istanze nazionaliste, al contrario a Lee si rimprovera di non comprendere il loro peso nella società sud-coreana. Larghi strati della popolazione nutrono ad esempio maggiore diffidenza verso il Giappone – in virtù del suo passato di potenza occupante – che non nei confronti della Cina. 

Sarebbe un errore far coincidere però il nazionalismo dei giovani sud-coreani con l’antiamericanismo. La maggior parte della popolazione – e dei manifestanti di questi giorni – è favorevole a un accordo di libero scambio con gli Stati Uniti. Ciò che in realtà chiede è pari dignità nei negoziati. Come recitavano gli slogan del corteo di martedì, i coreani del sud non vogliono che il loro presidente si prostri ai piedi di Washington come facevano “i vecchi re coreani davanti all’imperatore cinese”.