Provaci ancora Bin!
13 Luglio 2005
di redazione
Dall’11 settembre 2001 il mondo si è diviso in due. Da una parte coloro che hanno preso sul serio la minaccia del terrorismo islamista, lo hanno chiamato col suo nome e hanno provato, magari tra errori e aggiustamenti successivi, a contrastarlo e a combatterlo. Dall’altra parte c’è chi è rimasto a guardare e a dare lezioni.
La retorica del ‘siamo tutti newyorkesi’, ‘tutti madrileni’ e ‘tutti londinesi’ che per brevi momenti sembrava mettere tutti dalla stessa parte si è dissolta sempre più rapidamente. E ancor meno ha tenuto la convinzione, ogni volta ripetuta, che ‘nulla sarà più come prima’.
In realtà tutto è come prima o peggio di prima.
Continuano gli errori di chi, pure , il terrorismo l’ha preso seriamente in considerazione. Blair, la cui fermezza ci aveva ricordato cosa distingue un suddito di Sua Maestà da un ‘continentale’, ha poi sorpreso, quando nei vari discorsi dopo la strage di Londra ha accuratamente evitato anche solo di evocare il terrorismo islamico. E non ha convinto quando ha cercato di accreditare lo sforzo per alleviare la povertà nel mondo come idoneo ad allentare la morsa del terrorismo contro l’Occidente.
Così come ha sbagliato Berlusconi nello scegliere il giorno dopo la strage per ripetere una annuncio già fatto quale quello del ritiro di 300 soldati dall’Iraq entro settembre. Vi sono momenti nei quali gli annunzi non sono burocratiche comunicazioni ma segnali, lanciati ai propri cittadini e, ancor più, ai propri nemici. Lo scorso 9 luglio non era proprio il caso di offrire un segnale di appeasement .
Vi sono, poi, coloro i quali non ce la fanno proprio a considerare il terrorismo una cosa seria. E, per questo, cercano di risolvere il problema che esso pone camminando rasente i muri e con qualche espediente del tipo: ‘addà passà a nuttata’.
E’ qui che la miscela di ipocrisia e di correttezza politica crea dei paradossi sbalorditivi.
Qualche esempio? Prendete la Festa della Margherita a piazza Cavour a Roma. Sul portale d’ingresso campeggiano due grandi bandiere: a sinistra la Union Jack inglese, a destra lo stendardo arcobaleno dei pacifisti planetari. Come a dire a chi entra: ‘Qui siamo tutti inglesi ma anche tutti pacifisti’. E’ la quintessenza del malpancismo nazionale. Ed è anche di più: è un offesa al popolo britannico che ha consapevolmente scelto di stare sui campi di battaglia iracheni e afgani e per questo paga con composta afflizione anche un prezzo di sangue in patria. E della pace ‘senza se e senza ma’ non sa che farsene perché sa che non esiste sulla terra degli uomini.
Ma c’è di peggio. C’è Marco Travaglio. Ci sono i suoi pezzi sull’Unità dove la bramosia di ‘aver ragione’ trasuda quasi soddisfazione davanti alle stragi quotidiane in Iraq e nel resto del mondo. Ogni bomba che scoppia, ogni strage, gli fa sfuggire un tronfio e soddisfatto .’Noi l’avevamo detto’.
Ora sembra aspettare con ansia la più desiderabile conseguenza delle sue ragioni: il crollo del governo Berlusconi nel modo più semplice e sbrigativo. Scrive Travaglio: «In Italia fra pochi mesi si vota. Un attentato ora potrebbe costar caro al governo della ‘missione di pace in Iraq’”. E semmai dovesse accadere, Berlusconi non si sogni di inventarsi piste alternative, tanto non avrebbe speranze: «Anzar lo fece e ora è un pensionato”.
La pista giusta l’ha già indicata in anticipo Travaglio. Provaci ancora Bin!