Psicanalisti di successo sull’orlo di una crisi di nervi
13 Novembre 2008
di Daniela Coli
Dal 22 settembre il canale satellitare Cult, quello dei “Soprano” e di “Mad Men”, trasmette il serial drammatico “In Treatment”, prodotto dalla HBO, diretto da Rodrigo Garcia, incentrato sulle sedute settimanali dello psicoterapeuta Paul Weston (Gabriel Byrne), un fascinoso baby boomer di mezza età, in jeans e giacche casual, come negli anni ’70. Il lunedì è il giorno di Laura, una bella anestesista decisa ad andare a letto con lui, il martedì c’è Alex, il pilota dei marines reduce dall’Iraq che farà sesso con Laura, il mercoledì è la volta di Sophie, una ginnasta con ambizioni olimpiche, innamorata dell’allenatore e con tentazioni suicide, il giovedì sul divano si siedono Amy e Jake, una coppia in crisi. Il venerdì il dottor Weston va in terapia dalla collega in pensione Gina Toll, sua supervisor in passato, perché è innamorato di Laura e sua moglie è a Roma con l’amante. Per Gina (Dianne Wiest, attrice di Woody Allen in Hannah e le sorelle) un terapeuta non può mai andare a letto con un paziente. Più tardi rivelerà a Paul di aver desiderato un paziente e di non avere fatto sesso con lui, perché era innamorata del marito, non per ragioni deontologiche. Paul invece si chiede perché non sia professionale provare empatia e anche amore per un paziente, se gli insegnanti sposano le studentesse. La divergenza con Gina svela che Paul è in crisi, perché non crede ai testi sacri della psicoanalisi, ma al rapporto personale di empatia che si instaura con il paziente. Alle sedute con Gina si aggiunge poi per una terapia di coppia anche la moglie Kate, che ha una relazione, perché non si sente più desiderata dal marito, non riesce più a comunicare con lui, perché si comporta sempre come uno psicoanalista, e si è accorta dell’innamoramento per Laura.
Aldo Grasso, critico televisivo del Corriere, sostiene che nemmeno Woody Allen ha fatto così tanto per riabilitare una pratica non più alla moda come la psicoanalisi. Grasso ha ragione a lodare la raffinatezza e la profondità dell’operazione, ma è difficile concludere che la psicoanalisi esca da questo serial riadattato dalla serie israeliana “Be Tipul” con l’allure di Io ti salverò, dove Ingrid Bergman faceva tornare la memoria a Gregory Peck. Il film di Hitchcock è del ’45 e fu il primo film di psicoanalisi: il grande mago del thriller fiutò subito quale calamita la psicoanalisi poteva essere per il cinema. Il film di Hitchcock era basato su una psicoanalista follemente innamorata del paziente e presentava quindi una concezione del transfert non in linea con i testi sacri, ma da allora la psicoanalisi divenne di moda. A Hollywood, negli anni ’50, attori, attrici, registi, produttori erano tutti in analisi e gli psicoanalisti intervenivano anche nelle sceneggiature dei film. “In Treatment” è un’operazione culturale considerevole, perché mostra il fallimento della psicoanalisi meglio di tanti libri finora scritti. “In Treatment” è una lezione di stile per le nostre fiction, scialbe e sciatte, ma soprattutto offre l’occasione di ricredersi a tanti intellettuali critici della televisione, provando come con sceneggiature e registi adeguati sia possibile affrontare in una fiction temi considerati da noi solo per addetti ai lavori.
“In Treatment” è importante anche per comprendere il cambiamento antropologico avvenuto nella cultura occidentale dagli anni di “Mad Men”, il serial americano ambientato negli Stati Uniti dei primi anni ’60. I pubblicitari della Sterling Cooper – a cominciare dal creativo Don Draper – hanno quasi tutti una doppia vita, una al lavoro e una a casa, ma non vanno dallo psicoanalista. L’affascinante Don Draper ha cambiato nome per sfuggire alla famiglia, ha relazioni con donne diverse dalla mogliettina, un’algida ex modella ossessionata dalla bellezza. Don ha angosce, inquietudini, tensioni, sensi di colpa, ma convive con la propria nevrosi. Così, il suo alter ego femminile Peggy Olson, promossa da segreteria a pubblicitaria, ambiziosa, romantica, orgogliosa, non bella, ma magnetica. Messa incinta dall’arrivista account executive Pete Campbell, si tiene il figlio, lo alleverà e non dirà mai niente a Pete. I personaggi di “Mad Men” hanno successi e dolori, segreti, tensioni, problemi, ma per loro questa è semplicemente la vita, con i suoi alti e i suoi bassi. Dallo strizzacervelli va la moglie di Don e sul lettino si trasforma: diventa una donna lucida e adulta. Racconta di sapere che Don ha altre donne: lo riconosce dall’odore, da come fa l’amore, ma a lei non importa. Forse, se fosse con il marito come sul lettino, Don riuscirebbe a comunicare con lei, non cercherebbe altre donne e lei non avrebbe bisogno della terapia.
Prima della psicoanalisi, la cultura occidentale era consapevole delle pulsioni distruttive e aggressive freudiane, le chiamava peccato originale: non riteneva certo possibile eliminarle, piuttosto tentava di contenerle e moderarle. La psicoanalisi promette invece, come sostiene Ernest Gellner, la salvezza individuale attraverso la scienza, la cura delle anime attraverso il transfert, eliminando il mistero, la tensione, l’imprevedibile. È proprio il padre di Alex, straziato dal suicidio figlio, a mettere definitamene in crisi Paul Weston. Gli chiede perché, se l’inconscio è la saracinesca che tiriamo giù sui nostri ricordi più spiacevoli, poiché avendoli sempre presenti non riusciremmo neppure ad alzarci dal letto la mattina, si debba invece riportarli alla coscienza, provocando esplosioni emotive devastanti. Dopo l’incontro con il padre di Alex, Paul confesserà a Gina di non essere più sicuro da tempo che la psicoanalisi aiuti davvero la gente.
“In Treatment” rivela il cambiamento antropologico prodotto da una cultura che non accetta più una normale infelicità. La ginnasta Sophie è infelice perché i genitori sono separati, perché l’allenatore non vuole una relazione con lei, ma Weston la convince che è il trauma di avere visto il padre fotografo a letto con una modella a indurla a cercare disciplina in palestra. Se è il rapporto personale che conta, come sostiene il dottor Weston, non sarebbe meglio per Sophie fare amicizia con un coetaneo invece di fare terapia, andare alle Olimpiadi e guardare avanti invece che indietro? Al pilota Alex, traumatizzato da un’operazione in cui ha ucciso civili, andato in analisi per tornare al più presto a volare, Weston aveva consigliato di riflettere sui rapporti col padre e Alex si suicida. Al presente e al futuro, la psicoanalisi contrappone la ricerca del “vero” sé nel passato, frantuma le difese che si costruiscono proprio tirando giù la saracinesca su ciò che ci fa male del passato. Ad Amy, che vuole provare il brivido di una relazione extraconiugale dopo anni di matrimonio, Weston chiede se non voglia essere punita dal marito per non avere soccorso il padre morente. A Laura, la paziente che vuole andare a letto con lui, Weston confessa di essersi innamorato di lei. Il dottor Weston, apparentemente tranquillo nello studio ovattato, sulla poltrona-trono, ha un matrimonio a pezzi, non sa niente dei figli adolescenti che considera ancora bambini. È in crisi nella vita e nel lavoro. Ci si chiede cosa accadrebbe di lui se dovesse alzarsi dalla poltrona ed entrare nel mondo caotico e crudo fuori dallo studio pieno di barchette, dove la gente va a consultarlo, perché non sa decidersi se sposarsi o no, oppure se abortire il figlio concepito dopo anni di terapia per rimanere incinta. Diversamente da quanto ritiene Aldo Grasso, che si immagina addirittura di entrare nello studio di Paul Weston,“In Treatment” non è per niente celebrativo e scopre tutte le crepe della psicoanalisi. Anzi, fa pensare spesso alla battuta di Karl Kraus, che considerava la psicoanalisi la malattia di cui ritiene di essere la cura. Una battuta che Tony Soprano non direbbe mai alla sua bella analista politically correct, alla quale si limita a canterellare “Baby, baby, io ti avrò” .