Pubblica Amministrazione: Consulta boccia Riforma Madia, spunta ipotesi ritiro

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Pubblica Amministrazione: Consulta boccia Riforma Madia, spunta ipotesi ritiro

26 Novembre 2016

Potrebbero essere ritirati i decreti Madia attuativi della riforma della Pubblica Amministrazione, dopo la sentenza della Consulta sul ricorso della Regione Veneto. I provvedimenti sulla dirigenza pubblica e sui servizi pubblici

locali, approvati ieri in Cdm, potrebbero essere bloccati in uscita, evitando che intervenga il Quirinale. Per i decreti già pubblicati in Gazzetta Ufficiale, e in vigore, come quelli sulla razionalizzazione delle partecipate pubbliche e sui licenziamenti lampo, l’ipotesi è quella del ritiro. Il testo unico sul pubblico impiego verrà invece presentato a febbraio. Per quanto concerne la legge deroga, da cui i decreti discendono, dovrebbe essere rivista con una riapertura dei termini, ovvero delle scadenze per la definizione dei provvedimenti di attuazione.

Ieri il premier Matteo Renzi ha commentato che la “sentenza della Consulta ha bocciato una parte della riforma Madia. Volevamo licenziare i dirigenti che non si comportano bene e la regione Veneto ha fatto ricorso. Ha detto no non potete licenziare quei dirigenti, dovete chiedere a noi regioni l’intesa perché si tratta di materia concorrente tra stato e regioni. Noi abbiamo chiesto alle regioni il parere, ma loro volevano l’intesa”. Quindi, hanno fatto ricorso “e il Veneto ha vinto. Io non entro nel merito” della discussione, “ma a voi sembra normale un meccanismo del genere? Vi sembra governabile un Paese in cui abbiamo questo sistema?”. Renzi ha anche parlato di “burocrazia” che blocca l’Italia.

“La sentenza della Consulta sulla legge Madia è un ulteriore colpo mortale per l’arroganza di un governo che pensa di soddisfare la sua bulimia accentrando tutto il potere, contro ogni regola, contro ogni principio, contro ogni barlume di rispetto per l’autonomia delle strutture amministrative dello Stato e delle sue articolazioni territoriali”, commenta il senatore di Idea, Gaetano Quagliariello. “E la reazione del premier Renzi è la dimostrazione di cosa accadrebbe se dovesse passare la riforma costituzionale che, lungi dal mettere ordine nel rapporto fra Stato, territori e amministrazione, risponde esattamente a questo disegno accentratore”.

“Sulla base delle norme delega dichiarate incostituzionali – prosegue Quagliariello – il governo ha elaborato decreti attuativi che in tempi non sospetti non avevamo esitato a definire agghiaccianti per la loro portata accentratrice e prevaricatrice. Da un lato essi metterebbero la dirigenza pubblica alla mercé dell’esecutivo privandola di qualsiasi autonomia e indipendenza, e dall’altro pensano di risolvere il problema dell’efficienza delle amministrazioni territoriali, e in particolare di quelle sanitarie, non responsabilizzando le Regioni ma assoggettando le nomine al potere centrale (salvo poi consentire ai presidenti delle Regioni commissariate di essere essi stessi commissari alla sanità…)”.

“Uno dei decreti attuativi più aberranti, quello sulla dirigenza pubblica – osserva ancora Quagliariello -, scade domani. Sarebbe inaudito se si procedesse come se nulla fosse dopo la dichiarazione di incostituzionalità degli articoli da cui le norme di attuazione promanano. Confidiamo – conclude – che sarà impedito questo strappo istituzionale e che anche i decreti legislativi già emanati siano rivisti alla luce della sentenza della Consulta onde risparmiare al Paese un ulteriore, inevitabile contenzioso che sarebbe da addebitare non alla Costituzione ma all’arroganza di questo governo“.

Gli articoli dichiarati parzialmente illegittimi dalla Suprema Corte sono quattro nella parte in cui prevedono che i decreti legislativi attuativi siano adottati previa acquisizione del parere reso in sede di Conferenza unificata, anziché previa intesa in sede di Conferenza Stato-Regioni. Si tratta dell’11 sulla dirigenza pubblica; del 17 sul riordino della disciplina del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche (toccata dunque anche la norma sui licenziamenti lampo dei cosiddetti furbetti del cartellino); del 18 sul riordino della disciplina delle partecipazioni societarie delle amministrazioni pubbliche; del 19 sul riordino della disciplina dei servizi pubblici locali di interesse economico generale.

Gli ultimi cinque decreti hanno avuto il via libera definitivo proprio ieri dal Consiglio dei Ministri e riguardano le Camere di Commercio, la dirigenza pubblica, i servizi pubblici locali, gli enti pubblici di ricerca e i procedimenti per le autorizzazioni (Scia2). Il primo a entrare in vigore è stato il Freedom of information act, seguito da Scia (segnalazione certificata di inizio attività), dalle norme sui licenziamenti disciplinari, dal riordino della disciplina della conferenza dei servizi; ad agosto sono diventati legge la riforma delle autorità portuali; a settembre il testo unico sulle partecipate, la riforma delle procedure di nomina dei direttori sanitari, il codice dell’amministrazione digitale, la riduzione dei corpi di polizia; ad ottobre il codice della giustizia contabile e a novembre il decreto che sblocca i procedimenti per le autorizzazioni. La legge contiene anche delle norme autoapplicative, come il silenzio-assenso tra le amministrazioni e l’autotutela, cioé l’impossibilità per un’amministrazione di cambiare idea su un provvedimento dopo 18 mesi.

Intanto Madia ha convocato i sindacati per la definizione dell’accordo sui rinnovi contrattuali nel pubblico impiego. Ci si vede il 30 novembre, dunque a pochi giorni dal voto per il referendum. Madia incontrerà i leader di Cgil, Cisl e Uil. 85 euro di aumento per il rinnovo del contratto degli statali proposti dal governo.