Puntare sulla Difesa per il rilancio in Europa
17 Aprile 2008
Le questioni di politica internazionale sono rimaste fuori dalla
campagna elettorale, ma costituiranno, come in passato, temi importanti per
valutare la tenuta del nuovo Governo e le sue reali capacità politiche. Le
decisioni che il Governo prenderà in materia di politica estera e di difesa determineranno
con chiarezza il ruolo dell’Italia all’interno dell’Unione europea: il nostro
Paese sarà attore delle nuove strutture stabilite dal Trattato di Lisbona o, al
contrario, muto spettatore delle iniziative di altri? Nelle sue prime
dichiarazioni post elettorali Berlusconi ha mostrato consapevolezza della sfida
che ci attende.
Mentre l’Italia è rimasta
infatti ferma – in questa lunga pausa elettorale – gli altri Stati europei si stanno
muovendo velocemente, compiono passi e stringono alleanze, più o meno formali,
dalle quali rischiamo di essere esclusi. Il presidente francese Sarkozy, nell’incontro
con Gordon Brown a Londra dello scorso marzo, si è mostrato deciso a rilanciare
la primauté francese in Europa
mediante la creazione di un’intesa sempre più forte in materia di difesa con il
Regno Unito, oltre che con la
Germania, sua storica alleata.
Ma quella di Sarkozy non è una “svolta”,
è la semplice attuazione di quanto i 27 hanno firmato a Lisbona nel dicembre
2007. Il Trattato di Lisbona è infatti chiaro nelle sue previsioni sulla difesa
comune. Ogni Stato è libero di decidere il proprio ruolo e il proprio peso. Può
assumere un ruolo di primo piano, e partecipare così alla scrittura del futuro
politico dell’Unione, o può mantenere un ruolo defilato, osservando ma non
intervenendo nelle scelte prese da altri Paesi. Il nuovo Trattato prevede che
taluni Stati membri, qualora soddisfino determinati criteri e sottoscrivano gli
impegni in materia di capacità militari specificati nell’apposito Protocollo allegato al Trattato, possa
stabilire “una cooperazione strutturata
permanente nel quadro dell’Unione”.
Sarkozy ha subito interpretato
pragmaticamente le previsioni del nuovo Trattato. Ha compreso le enormi carenze
a livello operativo e strategico dell’apparato di sicurezza europeo, che a
breve hanno scarse possibilità di recupero. Da ciò scaturisce l’iniziativa di
rilanciare il ruolo della NATO e di sostenere contestualmente la difesa
europea, in accordo e non in competizione con gli Stati Uniti, mediante la
creazione di noyau dur di Stati che
siano disponibili ad investire risorse, finanziarie ed umane. Questo è anche il
senso del rinnovato interesse dell’amministrazione statunitense, espresso dal
Presidente Bush al summit di Bucarest, per una maggiore integrazione europea in
questi campi.
La decisione di ogni singolo Stato di partecipare o meno a
questo processo è delicato e questa scelta rischia di condizionare la futura
credibilità e statura politica di ogni Paese europeo, compresa l’Italia. È
necessario, perciò, dare a questa materia l’attenzione che merita ed essere
pronti ad impiegare risorse, da ricavare in primo luogo, stanti i vincoli di
bilancio, da una profonda razionalizzazione del settore. Cruciale sarà quindi
la scelta di chi, nel futuro governo, sarà il responsabile della difesa. Dovrà
essere una personalità autorevole ispirata da un europeismo pragmatico.
Giustamente Berlusconi nella sua prima uscita dopo le elezioni ha notato che vi
è “una carenza grave della presenza europea sulla scena mondiale”; ha
poi segnalato che “manca un manipolo di guida”. Ma forse questo si
sta già formando. La sfida per il nuovo Governo italiano è dunque quella di
stare in prima linea, per giocare un ruolo di primo piano innanzitutto nella
politica di difesa europea, mettendo a frutto il suo ingente impegno nelle
missioni di pace. Per non assistere da spettatori ad una nuova entente cordiale, ma per dare vita a una
nuova Saint Malo.