Pur di vincere le legislative Hollande abbasserebbe pure l’età pensionabile

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Pur di vincere le legislative Hollande abbasserebbe pure l’età pensionabile

08 Giugno 2012

“France in denial”, la Francia in negazione, titolava durante l’ultima campagna presidenziale francese il pedante settimanale britannico ‘The Economist’, riferendosi a una campagna elettorale surreale, contraddistinta da una strano distacco di candidati ed elettori dalla realtà della crisi europea del modello di spesa pubblica. Anzi, i francesi hanno eletto alla presidenza un politico che più statalista e anti-capitalista non si potrebbe.

A solo un mese dal proprio insediamento, infatti, il presidente francese François Hollande fa già parlare di sé e mostra la sua vera identità. Come si sarà immaginato, non sono buone notizie quelle che arrivano da Parigi. L’Eliseo ha messo il proprio sigillo politico – che è operazione molto provvisoria visto che senza maggioranza all’Assemblea nazionale il governo Ayrault di Hollande non va da nessuna parte – su una proposta di riforma delle pensioni, scritta dalla ministra degli Affari sociali, Marisol Touraine e promossa al Consiglio dei ministri di questa settimana, che ha l’indubbio privilegio di essere un unicum europeo.

Perché? La Francia, se la sinistra dovesse conquistare la maggioranza al parlamento francese alle legislative del 10 e del 17 Giugno prossimo, sarebbe infatti l’unico paese a diminuire l’età di pensionamento, invece di aumentarla, come accade invece nel resto d’Europa da almeno trent’anni a questa parte. E anche rispetto alla storia franco-francese, è una mossa abbastanza sorprendente. E’ dal 1981, anno dell’insediamento di François Mitterrand all’Eliseo, eletto con voti socialisti e comunisti, che l’età di pensionamento non veniva abbassata. Ed è tutto dire.

La proposta Touraine prevede il pensionamento all’età di 60 anni per coloro che hanno versato contributi sociali per 41,5 anni, avendo iniziato a lavorare a 18-19 anni. Anche le donne con tre o più figli potranno a loro volta andare in pensione a 60 anni, come pure i vecchi disoccupati. La “riforma” – che sembra più una restaurazione! – verrà finanziata con maggiori tasse su lavoro e imprese. ‘In negazione’ appunto. Come se in tempo di recessione (e potenzialmente di deflazione europea, stando a quello che ha affermato nei mesi scorsi il finanziere, e arcigno progressista, George Soros) tassare maggiormente sia la soluzione ai problemi della Francia e dell’Europa in generale.

La legge, se dovesse passare nella nuova Assemblea che uscirà dalle imminenti legislative, costerà alle casse dello stato francese 1,1 miliardo di euro solo sul 2013, ed è previsto che nel 2017 lo ‘scherzetto’ costi già 3 miliardi d’euro all’anno in più rispetto all’anno base 2012. Risultato: cento mila persone in più all’anno prima in pensione .

E così siamo finalmente arrivati ai primi passi del presidente “de la justice”, della giustizia, come si era proposto Hollande durante le presidenziali. Ma è davvero una riforma “giusta” questa presentata dalla ministra Touraine e sigillata dall’Eliseo? Per Dominique Seux, giornalista de “Les Echos”, il Sole 24 francese, questa riforma non solo non risolve le storture dell’attuale situazione previdenziale d’Oltralpe, ancora piena di privilegi (i dipendenti delle SNCF, i ferrovieri francesi possono andare in pensione a 50 anni!), ma manda il segnale peggiore ai francesi, forse nel breve periodo elettoralmente pagante, di protezione di privilegio.

V’è certamente un cotè, un lato elettoralistico in questa mossa. I socialisti devono a tutti i costi conquistare un pezzo significativo degli scranni dell’emiciclo dell’Assemblea se vogliono riuscire a dettare le regole a tutta la sinistra e fare del quinquennato di Hollande un lasso di governo e non di litigi.

Ancora da capire come il governo Ayrault intenda difendersi dal rischio declassamento. La Francia, già osservato speciale, rischia di pagare cara la mossa di più tasse e di riforme controcorrente rispetto al corso europeo. Il rischio in sostanza che già durante l’estate possa arrivare un declassamento del debito francese da parte delle agenzie di rating. E’ accaduto all’America quasi un anno or’ sono (salvo che il presidente di Standard&Poor’s, Deven Sharma, dopo aver tolto la tripla A agli Usa si è ritrovato di lì a poco senza lavoro) e non dovrebbe stupire nessuno se accadesse alla Francia. 

Questo è il prezzo che si paga quando il proprio debito è detenuto, per più del 60%, all’estero come nel caso francese. Anche il costo dell’ideologia sale. It’s the market, stupid! Prendere nota all’Eliseo.