Purtroppo il pacchetto ‘salva banche’ non risolverà i problemi della Spagna
12 Giugno 2012
Dopo l’Irlanda, il Portogallo e la Grecia, è ora tempo della Spagna. Confermata la notizia che Madrid ha bussato alla porta dell’Europa per chiedere un pacchetto d’aiuti per salvare le ‘sue’ banche dal rischio crack, ora la domanda sibillina tra gli addetti ai lavori è questa: dopo le banche, sarà la volta dello Stato spagnolo tout court ad aver bisogno di un salvataggio? La risposta a questa domanda assilla gli operatori del mercato in questi giorni, e non solo loro.
Da mesi, le aste dei bonos spagnoli, i titoli di debito pubblico iberici a breve-media-lunga scadenza, sono frequentate quasi esclusivamente dagli istituti di credito spagnoli. Il che vuol dire che se le banche hanno bisogno d’iniezione di liquidità, dopo di esse, potrebbe essere la volta dello Stato centrale spagnolo. L’annuncio di una supervisione della nota ‘troika’ – Bce, Fmi e Commissione europea – sul salvataggio bancario spagnolo del ministro delle finanze tedesco, Wolfgang Schäuble ricorda a Madrid il costo politico della richiesta d’aiuto a Francoforte-Washington-Bruxelles.
Purtroppo ad anni ormai dalla crisi transatlantica dei mutui subprime del 2007-08 e dallo scoppio della bolla immobiliare, la Spagna di Zapatero prima e di Rajoy oggi tenta d’apportare soluzioni a problemi grandi. Come si ricorderà, gran parte delle ipoteche ‘tossiche’ rimaste insolute con lo scoppio della bolla immobiliare furono convogliate nelle pance delle banche. Da quel momento in poi è andato tutto peggiorando.
Ma anche con i 100 miliardi di euro previsti per il salvataggio dei "bancos", le cause dei guai spagnoli non sono rimosse: una spesa pubblica, tra centro e regioni, troppo alta; un quadro macroeconomico al limite della crisi sociale, con uno spagnolo su quattro disoccupato, e all’interno del dato una disoccupazione giovanile oltre il 50%. Il tutto aggravato da previsioni recessive che danno il Pil spagnolo in contrazione per l’anno in corso per un 1,7 punti percentuali.
Nella giornata di ieri le borse europee e asiatiche sembravano aver apprezzato l’annuncio del piano di salvataggio alle banche spagnole. Tutti i maggiori listini del Vecchio Continente hanno fatto segnare delle fasi di rialzo, un dato che in sé segna la voglia d’ottimismo degli operatori dei mercati europei preoccupati sempre più dal rischio ‘double-dip’, doppia-recessione europea. Entusiasmo borsistici a parte (la volatilità è diventata la regola nell’ultimo anno), non basterà i sussulti d’ottimismo a risolvere tutte le criticità che il salvataggio alle banche spagnole porta con sé.
Sorvolando per un momento il costo politico che il governo Popolare di Mariano Rajoy dovrà sopportare per mettere mano alle casse europee – il vice-presidente della Commissione europea e socialista spagnolo, Joaquin Almunia ha dichiarato che “ovviamente” saranno poste delle “condizioni” al governo spagnolo per l’aiuto della ‘troika’-, il rischio Spagna è sistemico e ha a che fare con il futuro dell’eurozona nel suo insieme. Prima di tutto, è quasi certo a questo punto che Madrid non riuscirà a rispettare gli obiettivi di riduzione del proprio deficit, già oggetto di braccio di ferro con Berlino, del 5,6% sul 2012.
C’è poi un altro dato da considerare: il Pil della Spagna, per quanto in contrazione, è il quarto per volume della zona euro. La produzione annuale spagnola in beni e servizi è pari a quelle di Grecia, Portogallo e Irlanda messe insieme. Ciò significa che se l’emorragia iberica non fosse contenuta effettivamente col pacchetto “bancos” da 100 miliardi di euro in discussione in questi giorni, e qualora il governo Rajoy dovesse nuovamente chiedere aiuto all’Ue nei prossimi mesi per incapacità di Madrid a finanziare il proprio debito, ne deriverebbe uno scossone molto duro per l’intera eurozona.
Questo accadrebbe in clima macroeconomico che vedrà, Germania a parte la cui crescita per l’anno in corso è stata stimata al rialzo al 1% dallo 0,8 % precedente, la maggior parte dei grandi paesi dell’unione monetaria con il proprio Pil 2012 in contrazione, Italia e Francia in testa.
Non c’è da star allegri sulla possibilità che la Spagna risolva i propri problemi con gli aiuti che sta per ricevere, almeno fino a quando molta spesa pubblica spagnola non verrà abbattuta. Ma il costo politico è molto alto. Ridurre la spesa pubblica, significherebbe anche licenziare persone da incarichi finanziati con gettito tributario.
Una politica che, se implementata, in questo momento aumenterebbe ulteriormente il tasso di disoccupazione. La riduzione della spesa pubblica è certamente l’unica via da perseguire, ma è una via irta di incognite e di rischi politici per l’intero Regno spagnolo. Quel che è certo è che più tardi verrà battuta, più alti saranno i costi sociali ed elettorali per tutti i partiti istituzionali.