Purtroppo nella ‘nuova Libia’ post-Gheddafi regna solo il caos
06 Giugno 2012
In Libia si sta realizzando quanto di peggio ci si poteva aspettare dalla caduta di Gheddafi. Notizia dell’ultima ora: l’ambasciata Usa a Bengasi è stata attaccata con dinamite. E poi, l’assalto del 4 Giugno scorso all’aeroporto Qaser Ben Ghashir di Tripoli; e ancora le tensioni con l’Algeria che sostiene il desiderio d’indipendenza del Fezzan, la secessione dell’Azawad dal Mali realizzata dai tuareg armati dall’ex raìs, e l’impossibilità di riacquistare il controllo di una nazione che ora è dominata da bande armate territoriali, che si muovono come cani sciolti. Il Sahel è sempre più una zona ad alta tensione.
L’attacco all’aeroporto di Tripoli del 4 Giugno scorso, l’ultimo in ordine di tempo, è stato condotto dalle milizie del gruppo al-Awfea, venute da Tarhuna per richiedere la liberazione del loro leader Abu-Alija Habshi, rapito in circostanze ancora oscure. Occupare il terminal in pieno giorno è stato di una facilità disarmante per i guerriglieri, che tuttavia hanno mantenuto il controllo della struttura per meno di 24 ore. Sufficienti però a suscitare molti dubbi sulle misure di sicurezza che il Consiglio nazionale transitorio (Cnt) e l’attuale presidente libico Mustafa Abdul-Jalil adotteranno per garantire la sicurezza a sole due settimane dall’apertura (presunta) dei seggi elettorali.
Elezioni che, secondo quanto riportato da Al-Jazeera, rischiano di slittare almeno alla prima settimana di Luglio. Infatti, non c’è stato tempo sufficiente a vagliare i curricula degli oltre 4000 candidati ai duecento posti previsti per il nuovo parlamento libico. I tempi si sono poi allungati notevolmente dall’uscita di scena dell’ex presidente della commissione elettorale, Sghair Majeri, che ritiene la nazione “non pronta ad andare al voto” nei termini stabiliti.
Al momento, i partiti favoriti in queste elezioni sembrano essere il Fronte Nazionale, il partito Giustizia e Sviluppo dei Fratelli musulmani, il partito della Nazione dell’ex guerrigliero islamico Abdel Hakim Belhadj e l’Alleanza delle forze nazionali. Di questi, Giustizia e Sviluppo e partito della Nazione sono di matrice confessionale, pur dichiarando di credere in una Libia libera, trasparente e democratica, basata sui principi dell’Islam. Il Fronte Nazionale dell’attuale presidente Jalil, invece, è costituito in prevalenza da ex figure di rilievo nel governo di Gheddafi.
La situazione appare tutt’altro che sotto controllo: alcune città del sud, tra cui Sabbha e Kufra, restano ancora teatro di battaglie tribali, mentre Zintan e Misurata sono diventate vere e proprie città-stato indipendenti dal Cnt, che non riesce a far breccia nelle loro linee di difesa per imporre il proprio controllo. Una tendenza centrifuga, quella di queste città, condivisa anche dalle regioni della Cirenaica e del Fezzan, che spingono sempre più per ottenere la loro indipendenza da Tripoli.
L’evoluzione dello scenario libico è sempre più importante, nella misura in cui nelle nazioni circostanti, fino a Mali e Nigeria, si assiste sempre più all’affermarsi di al-Qaeda e dell’estremismo islamico. Uno sviluppo che condurrà di sicuro a sfide molto rilevanti, con la Nato che sorveglia la situazione dall’alto senza (per ora) intervenire. Resta da verificare se e come la Libia riuscirà a costruirsi un futuro nel dopo Gheddafi. Un futuro che, in gran parte, si delineerà con le prime elezioni.