Putin al Cremlino ovvero il ritorno dell’uomo che non se n’è mai andato
28 Settembre 2011
di redazione
Ripubblichiamo un articolo tratto dal The Economist, sulla transizione tra Medvedev e Putin al vertice della Russia dopo l’intervento dei due al congresso del loro partito ‘Russia Nuova’ lo scorso sabato 24 Settembre 2011. L’articolo è stato scritto nello stesso giorno.
Qualcuno vorrebbe farci credere che la domanda più importante quando si parla di politica russa sia la seguente: Vladimir Putin, primo ministro tra il 1999 e il 2000, presidente fino al 2008 e da allora primo ministro, tornerà a essere l’anno prossimo il presidente della Russia? Se così fosse, la Costituzione (cambiata durante la sua assenza dal Cremlino) gli consentirebbe di restare in sella per due consecutivi mandati di sei anni ognuno, mantenendolo al potere fino al 2024, quando avrà ormai settantuno anni.
Le notizie che ci vengono riportate dall’odierno congresso del partito ‘Russia Unita’, rispondono esattamente a questa domanda. Dmitri Medvedev, l’attuale inquilino del Cremlino, ha detto che vorrebbe che Putin corresse per la presidenza il prossimo anno. Putin lo ha ringraziato, dicendo che sarà per lui un "grande onore". Il suo ritorno al Cremlino si formalizzerà alle elezioni presidenziali del marzo prossimo. Medvedev sarà capo lista del partito ‘Russia Unita’ alle elezioni per la Duma – la camera bassa del parlamento – nel mese di dicembre, e poi sostituirà Putin come primo ministro.
Questo chiaro scambio al vertice potrebbe essere descritto come un trionfo per la democrazia russa. La lettera della Costituzione è stata rispettata. Medvedev potrà continuare la sua crociata modernizzatrice volta a liberare la Russia dagli eccessi della burocrazia e dalla corruzione, e potrà continuare a promuovere le versione russa e high-tech di una Silicon Valley statunitense, da costruirsi a Skolkovo, appena fuori Mosca. Putin, ancora oggi il politico più popolare del paese, rimane a garanzia di stabilità, una sorta di versione russa di Lee Kuan Yew a Singapore.
Vista tutta la vicenda in un altro modo, tutta questa storia è solo una grande farsa. Pur essendo stato nominalmente numero due, da primo ministro Putin è rimasto la figura più potente della politica russa. La questione – come l’Economist ha regolarmente scritto nel tempo – non è quella di stabilire ‘se’ Putin sarebbe rimasto al potere, ma ‘come’ l’avrebbe fatto. Medvedev ha costantemente deluso quanti avevano sperato che egli avrebbe potuto farsi portabandiera di un nuovo corso riformista e indipendente della Russia. E’ vero, Medvedev ha in qualche frangente allargato le maglie della discussione pubblica (non ultimo sul passato stalinista), ma se si guarda indietro agli ultimi tre anni, è difficile trovare un cambiamento sostanziale che porti la sua impronta.
Al contrario, Putin – un ex ufficiale del KGB – ha riplasmato la politica russa a propria immagine e somiglianza appena giunto al potere. Ha intimidito e incarcerato i propri avversari e confiscato le loro risorse energetiche e mediatiche; ha creato un sistema politico in cui le elezioni importanti vanno sempre come vogliono le autorità. E quelle a venire non faranno eccezione in questo senso.
La ‘questione Russia’ sotto Putin non ha mai riguardato le elezioni o la sua occupazione del Cremlino. Ha avuto – e ha – a che fare invece con un’economia in stagnazione, con una corruzione dilagante, con una crescente frustrazione nelle classi medie e con una guerra nel Caucaso settentrionale.
Quando Putin ritornerà alla presidenza – un uomo senza apparenti convinzioni ideologiche – avrà la possibilità di decidere, qualora tali misure gli possano assicurare la continuità al potere, di riconvertire un economia dipendente dall’estrazione di risorse naturali, di porre un freno alla corruzione e di adottare un nuova politica verso le regioni più riottose della Russia. Diversamente dagli annunci di oggi, queste sarebbero davvero notizie nuove. Oppure potrà decidere di lasciare tutto così com’è. In questo caso la Russia inizierebbe un nuovo e più pericoloso capitolo della sua storia politica.
Tratto dal The Economist
Traduzione di Laura Barbuscia