Putin lancia sfida per la conquista dell’Artico

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Putin lancia sfida per la conquista dell’Artico

30 Agosto 2007

La Russia pianta la sua bandiera sui fondali del Polo nord. Ci avevano già provato ai tempi di Brezhnev parlando di “Artico sovietico”, ma la comunità internazionale non ne ha voluto sapere. Un vessillo che segna il successo di una missione scientifica, ma che ha anche un valore geopolitico e strategico incalcolabile. Un segnale decisamente impressionante che la Russia manda al mondo intero. Si tratta di dimostrare che la piattaforma continentale che giace sotto le acque gelide del Mar Glaciale Artico è, per così dire, ancorata alla Russia, alle sue coste dell’estremo nord, che è la sua continuazione, che potrebbe anche preludere alla rivendicazione di un territorio ricco di risorse energetiche.  

Mir-1 e Mir-2, i batiscafi della spedizione inviata da Mosca per studiare i fondali della banchisa artica, hanno toccato il fondo a più di 4.200 metri di profondità. Essi hanno navigato lungo la dorsale Lomonosov, catena montuosa sottomarina che taglia l’Artico a metà e si estende sotto l’acqua per 1.700 km dalla Siberia all’estremità nordoccidentale della Groenlandia. Qui, dopo lunghi studi, affermano di aver costatato che la dorsale Lomonosov è unita direttamente al territorio della Federazione russa. E’ la prima volta che l’uomo si avventura nei fondali dell’oceano artico, dove la pressione dell’acqua è elevatissima. E pertanto non stupisce che il Cremlino abbia paragonato la spedizione alla prima passeggiata degli astronauti sulla Luna. E poi, proprio come la corsa nello spazio, anche l’esplorazione artica è di quelle imprese dove la scienza è alimentata da aspirazioni di egemonia e di controllo. 

Il presidente Putin si è congratulato con gli esploratori per telefono: quello che hanno compiuto, ha detto, è “un notevole progetto scientifico”. La notizia ha tenuto banco su tv e giornali. Il presidente della Duma (il parlamento) Boris Gryzlov, anche lui del partito del presidente, ha aggiunto che con questa spedizione si apre “una nuova fase per lo sviluppo delle ricchezze polari”.  

Già, le ricchezze polari. Uno degli scopi dichiarati della missione nell’Artico era permettere agli oceanografi russi di studiare meglio la conformazione del fondale e stabilire se la Russia e il Polo nord sono parte della stessa piattaforma, come Mosca sostiene da tempo. Non è un semplice puntiglio geologico. Secondo la legge internazionale le 5 nazioni che hanno territori all’interno del Circolo polare artico (Canada, Norvegia, Russia, Stati uniti e la Danimarca attraverso il suo controllo della Groenlandia) hanno il controllo su una “zona economica” di 200 miglia al largo delle proprie coste, con il conseguente diritto di sfruttare le risorse naturali che vi si trovano – dal gas naturale al petrolio alla pesca. La Russia però rivendica uno “spicchio” maggiore: dice che la sua zona economica dovrebbe arrivare fino al Polo perché il fondale artico e la Siberia sono un’unica piattaforma continentale. Detto così però il problema non è molto chiaro. Per comprendere come la vicenda evolverà è utile soffermarsi su tali concetti che non sono altro che istituti di diritto internazionale marittimo disciplinato dalla Convenzione di Montego Bay del 1982.  

In base a detta Convenzione, fermo restando la libertà di tutti gli Stati di utilizzare le acque e lo spazio atmosferico sovrastanti, lo Stato costiero ha il diritto esclusivo di sfruttare tutte le risorse della “piattaforma continentale”, intesa come quella parte del suolo marino contiguo alle coste che costituisce il naturale prolungamento della terra emersa e che pertanto si mantiene ad una profondità costante (200 m circa) per poi precipitare o degradare negli abissi. Tale diritto, inoltre, ha natura funzionale: lo Stato può esercitare il proprio potere di governo solo nella misura strettamente necessaria per controllare e sfruttare le risorse della piattaforma.  

Diverso il discorso per la “zona economica esclusiva”. Tale zona può estendersi fino a 200 miglia marine dalle coste. La Conferenza di Montego Bay ha attribuito allo Stato costiero il controllo esclusivo di tutte le risorse economiche della zona, sia biologiche che minerali, sia del suolo e del sottosuolo che delle acque sovrastanti e per la pesca. Spetta allo Stato fissare la quantità massima delle risorse ittiche sfruttabili, determinare la propria capacità di sfruttamento e, solo se questa è inferiore al massimo, consentire la pesca agli stranieri.  

Per quanto riguarda i poteri degli Stati diversi dallo Stato costiero sulla zona, si limitano al godimento della libertà di navigazione, di sorvolo, di posa di condotta di cavi sottomarini. Negli spazi marini situati oltre la zona economica esclusiva cessa ogni tutela degli interessi degli Stati costieri. Il mare internazionale è l’unica zona in cui trova ancora applicazione il vecchio principio della libertà dei mari. Tutti gli Stati hanno eguale diritto a trarre dal mare internazionale le risorse che questo è in grado di offrire, dalla navigazione, alla pesca, alla posa dei cavi.  

Chiariti questi concetti si comprende facilmente come la reazione di molti Paesi all’impresa russa sia stata avventata ed ingiustificata. Il Canada ha commentato con un certo sarcasmo: “Non siamo più nel 15esimo secolo, non puoi andare in giro per il mondo e piantare una bandiera e dire ‘reclamo questo territorio’”, ha detto il ministro degli esteri Peter MacKay alla televisione Ctv. Dimenticando, però, che il diritto esclusivo di esercitare il potere di governo sulle attività di sfruttamento, viene acquistato in modo automatico a prescindere da qualsiasi occupazione effettiva della piattaforma. Correttamente il ministro degli Esteri russo, Sergei Lavrov, ha risposto a tali illazioni: “Lo scopo della missione non era avanzare una rivendicazione russa ma mostrare che la nostra piattaforma continentale raggiunge il Polo nord”. Che è, appunto, la premessa prevista dal diritto internazionale alla rivendicazione territoriale di Mosca.  

Ma torniamo alla notevole posta in gioco. Sembra, infatti, che sotto il mare Artico ci siano notevoli giacimenti di gas naturale. La “corsa all’Artico” del resto è facilitata dal cambiamento del clima: con il riscaldamento dell’atmosfera la calotta di ghiaccio che ricopre il Polo si sta sciogliendo, in estate ampie zone di mare restano scoperte e lo strato di ghiaccio è comunque più sottile; questo apre nuove vie per le esplorazioni polari – oltre a nuove vie navigabili ben oltre il Circolo polare artico, e nuove zone dove non è più proibitivo avviare attività di sfruttamento delle risorse. Il territorio in questione, grande quanto Italia, Francia e Germania messe assieme, contiene secondo gli stessi scienziati russi, 10 miliardi di tonnellate di depositi di gas e di petrolio; facile comprendere perché tale impresa abbia suscitato preoccupazione e stupore in numerosi organi internazionali.  

Ma cosa rivendicano precisamente i russi? I russi hanno già i loro diritti sulla piattaforma. Non rivendicano, quindi, solo la ridge (dorsale), ma il fondale circostante. In altre parole, la rivendicazione è quella di estendere la piattaforma in zone attualmente libere in quanto la Lomonosov ridge che le attraversa sarebbe parte della suddetta piattaforma. Peccato che colleghi due piattaforme dando, se la rivendicazione venisse accettata, gli stessi diritti ai danesi e, forse, ai canadesi. Molti studiosi insistono proprio questo punto: “Francamente penso che ci sia qualcosa di strano”, ha affermato ironicamente al Guardian Sergey Priamikov, direttore internazionale dell’Istituto di ricerca dell’Artico e dell’Antartico di San Pietroburgo. “A questo punto i canadesi potrebbero dire che la dorsale Lomonosov è parte della piattaforma canadese e ciò significherebbe che la Russia appartiene di fatto al Canada, insieme con l’intera Eurasia”.

Canada e Danimarca, impegnate nella stessa lotta per accaparrarsi i giacimenti sotto le acque artiche, sostengono che queste rivendicazioni non hanno nessun valore politico. Gli Stati Uniti non possono rispondere direttamente alla provocazione russa, non avendo sottoscritto il trattato Onu, ma sono anch’essi proiettati nella corsa alla costruzione di navi adatte ad affrontare i ghiacci del Polo, e soprattutto vogliono mantenere sotto il controllo di un’autorità internazionale il “passaggio a Nord-Ovest” su cui il Canada ha puntato gli occhi. Come primo passo, per ostacolare la prevista richiesta dei russi, Washington dovrebbe ratificare la Convenzione di Montego Bay. L’amministrazione Reagan aveva negoziato la Convenzione, ma il Senato si rifiutò di ratificarla per timore che limitasse eccessivamente la libertà d’azione degli Stati Uniti sui mari aperti. Ma ora il quadro internazionale è mutato, la posta in gioco è molto più alta. E, dietro ai batiscafi, anche se non si vedono, ci sono i missili intercontinentali. Dei quattro giganti mondiali che si “marcano” sempre pi%C3