Putin protagonista anche con il Papa

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Putin protagonista anche con il Papa

15 Febbraio 2016

E’ stato scritto e ripetuto che l’abbraccio tra Papa Francesco e il Patriarca della Chiesa ortodossa Russa Kirill ha un enorme valore dal punto di vista religioso e del dialogo interconfessionale perché due chiese divise da secoli tornano a parlarsi, ed è normale che un evento di questa portata abbia delle implicazioni sulla geopolitica internazionale, tanto più che i due uomini di fede a L’Avana hanno preso una posizione chiara su importanti questioni come l’Ucraina, il Medio Oriente e la mattanza siriana.

 

La denuncia fatta in più di un’occasione da Papa Francesco, attenti, siamo nel mezzo di una “terza guerra mondiale” che si combatte “a pezzi” in diverse parti del mondo – la comunità internazionale intervenga unita per trovare soluzioni – non può che trovare orecchie attente al Cremlino: Putin sta combattendo in Siria non solo per stabilizzare il regime al potere e conservare l’egemonia russa nell’area ma soprattutto per sedersi da protagonista al tavolo del vincitore, rivendicare un ruolo di guida per il dopo Assad, e gettare tutto questo sulla bilancia in modo da riequilibrare la situazione in Ucraina dove restano forti le tensioni con Ue e NATO.

 

Non si spiegherebbe altrimenti la malcelata soddisfazione russa dopo l’incontro tra il Papa e Kirill. Il premier russo Medvedev che esorta a prendere esempio dall’Avana come metodo attraverso il quale “due parti possano avvicinarsi l’una all’altra”, invece di cedere a una deriva che, aggiunge Medvedev, rischia di far sprofondare verso una ‘Nuova Guerra Fredda’. Il raggiante ambasciatore russo presso la Santa Sede, Avdeev, convinto che nei “lunghi anni di meticoloso lavoro” che hanno portato all’incontro “un ruolo molto positivo” lo abbia giocato “il rapporto personale tra il presidente Putin e Papa Francesco, come pure le buone relazioni bilaterali tra Federazione russa e Vaticano”.

 

Avdeev precisa che ogni cosa è passata per le stanze del Vaticano e della Chiesa ortodossa russa, che l’ambasciata di Mosca non è stata “coinvolta direttamente” nella preparazione dell’incontro, ma non si può sottovalutare il compiacimento con cui i russi hanno preso l’interesse geopolitico suscitato dall’evento a livello globale; tanto che il Papa – fa notare lo storico Agostino Giovagnoli – “ne ha già preso un po’ le distanze dicendo che la Russia fa anche i suoi interessi”. Questo è il punto centrale. La Russia fa i suoi interessi e Obama non può permettersi di giocare la parte del terzo incomodo tra Putin e il pontefice.

 

Si può dire allora che dopo lo storico incontro all’Avana Papa Francesco sia diventato un interlocutore privilegiato di Vladimir Putin in Occidente? Probabilmente sì ma aggiungendo subito dopo un altro paio di cose. La prima è che se il Vaticano fa diplomazia questo non può esimere le leadership occidentali dallo svolgere il proprio ruolo politico e la loro missione un tempo manifesta. Considerazione che ci porta all’altra per cui, se Putin trova un interlocutore in Francesco, è perché, come scriviamo da tempo, qualcuno doveva pur riempire il vuoto lasciato dalla ex superpotenza americana, gli Usa guidati da Obama. Ruolo politico che va recuperato al più presto se non si vuole lasciare il Papa solo con Putin a fare le veci di un Occidente che ha perso la bussola.

 

Il motivo per cui l’America e l’Europa devono stare al fianco di Papa Francesco è presto detto: la difesa della libertà religiosa e delle libertà individuali, ovvero uno dei pilastri nella dichiarazione congiunta sottoscritta da Francesco e Kirill. Le due Chiese hanno chiesto alla comunità internazionale di fermare il genocidio dei cristiani, “la violenza e il terrorismo” nel mondo. Questa difesa della libertà religiosa deve però valere sempre e ovunque, per tutte le minoranze, in quell’“ecumenismo del sangue” che secondo Francesco rende martiri i cristiani al di là delle loro confessioni. Una sorta di unità nel martirio subito a tutte le latitudini che testimonia una fede comune.

 

E’ in questo senso che i leader dei Paesi occidentali possono rafforzare la posizione espressa da Francesco per esempio sulla questione degli “Uniati”, i cattolici di rito orientale (cristiani che dopo lo scisma d’Oriente sono tornati alla Chiesa di Roma), una comunità la cui presenza in Ucraina viene vissuta conflittualmente dalla chiesa ortodossa russa. “Ortodossi e greco-russi (gli uniati, ndr.) hanno bisogno di riconciliarsi,” si legge nella dichiarazione di Francesco e Kirill, “hanno bisogno di trovare forme di convivenza reciprocamente accettabili”. Una mediazione importante che se non arriva a riconoscere l’unità delle fedi garantisce comunque a ognuna il diritto di esistere e di vivere in pace con le altre.

 

Questa è la strada aperta da Francesco ma che il Papa non può percorrere in splendida solitudine. Nel Donetsk, l’autoproclamata repubblica in Ucraina, le autorità e i media hanno definito spesso i cristiani, cattolici, protestanti, battisti, come delle “sette religiose”, “false religioni” capaci di “distruggere l’animo dell’Ucraina”. In tutte le aree dell’Ucraina russofona, per esempio nel sud-est del Paese (dov’è più forte il radicamento dei protestanti figli del revival religioso ottocentesco che spinse i coloni tedeschi invitati da Caterina II di Russia a insediarsi in questi territori), la vita per chi non è ortodosso resta difficile.

 

Nelle regioni di Donetsk e Luhansk si registrano numerosi casi di chiese protestanti confiscate fino a veri e propri atti di violenza come avvenne nel 2014, quando quattro pentecostali furono rapiti dai separatisti a Slavyansk e ritrovati morti con il corpo segnato dalle percosse. Abbiamo notizie su conventi cattolici in Crimea costretti a chiudere e sulle suore che ci vivevano, polacche e ucraine, allontanate dopo che si erano viste ritirare il permesso di soggiorno. 12 preti cattolici hanno dovuto lasciare la Crimea lo scorso anno e tra quelli rimasti soltanto uno praticherebbe il rito cattolico orientale.

 

Queste storie sono rimaste sullo sfondo dell’incontro tra Francesco e Kirill all’Avana. Non ne sminuiscono il senso, anzi, nella dichiarazione congiunta ci sono gli anticorpi per evitare che si ripetano, ma solo a patto che le leadership occidentali stiano al passo del Papa, come fa Putin con Kirill. Se non è Obama, ci dovrà pur essere pure qualcuno che faccia notare come a Cuba – un altro fronte che Francesco non ha disertato – la libertà religiosa non è garantita. Nell’isola le persecuzioni dei cristiani non sono finite: nel 2013 ci sono state oltre duemila e trecento casi specifici di violazioni delle libertà religiose (220 nel 2014) che hanno coinvolto chiese, persone arrestate, altri martiri, altre vittime colpevoli solo di credere in dio.

 

Del resto Obama dovrebbe conoscere meglio di chiunque altro tipi come i Castro, due personaggi che non hanno mai avuto alcuna altra fede al di fuori di quella per se stessi e verso il loro sconfinato potere.