Putin rende omaggio alle vittime del terrore ma non rinnega Stalin
02 Novembre 2007
di redazione
L’avvenimento più significativo di questa settimana a
Mosca è stata indubbiamente la “Giornata del ricordo per le vittime delle
repressione politiche” celebrata il 30 ottobre. Quest’anno è il settantesimo
anniversario del “Grande Terrore” dei
1937-1938.
In 14 mesi furono fucilate quasi 700 mila persone soltanto in
seguito alle sentenze delle corti speciali e altre 350 mila morirono durante
gli interrogatori. Interrogatori durante i quali con una apposita decisione del
Politburo, fu permesso di ricorrere alla tortura.
Alla vigilia dell’evento l’Associazione
internazionale “Memorial” – che sta cercando di creare un elenco unico
comprensivo di tutte le “Vittime del terrore politico nell’Unione Sovietica” –
ha messo su Internet una sua nuova edizione elettronica. La lista precedente,
compilata nel 2004, conteneva 1 milione e 340 mila nomi delle vittime del
terrore sovietico in Russia, Ukraina, Bielorussia, Kazakistan, Uzbekistan e
Kirgizistan. La nuova edizione, basata in buona parte su fonti inedite,
contiene più di 2 milioni e 600 mila nomi, ma si tratta soltanto di una tappa
intermedia del progetto dell’Associazione. Per le stime degli specialisti,
l’elenco finora compilato rappresenta al massimo tra il 15 e il 20% del totale
complessivo delle vittime, tra morti e detenuti nei campi di lavoro.
Con la sua nota frase, “la morte di una persona è
una tragedia, la morte di un milione è una statistica”, Stalin sperava che la
“guerra cancellerà tutto” e che la storia dimenticherà. Il lavoro di “Memorial”
nel ricostruire realisticamente il passato e nel ridare un volto umano alle
cifre astratte (che superano l’immaginazione), smentisce le certezze del carnefice.
Gli elenchi delle vittime del terrore politico hanno già aiutato moltissime
famiglie ad acquisire informazioni sulla sorte dei propri cari e nello stesso
tempo forniscono a tutti una valutazione tangibile del vero costo del
gigantesco progetto di ingegneria sociale del XX secolo che fu l’Unione
Sovietica.
Il presidente Putin, con il suo acuto fiuto politico,
ha colto il significato dell’avvenimento. Nella Giornata della memoria,
accompagnato dal Patriarca della chiesa ortodossa Alessio II, ha visitato
Butovo, l’ex poligono della polizia politica staliniana, dove durante il Grande
Terrore furono fucilati decine di migliaia di moscoviti, per rendere omaggio alle
vittime dello sterminio. Senza mai nominare il nome di Stalin ha reso un
tributo a tutte le vittime, “dal clero ai contadini”, spiegando che tragedie
del genere succedono quando “un’idea a prima vista attraente, ma falsa in
sostanza è messa al di sopra dei valori fondamentali quali la vita, i diritti e
le libertà dell’uomo”.
Per Putin, alla luce del suo passato nella polizia
segreta, è stato un insolito gesto politico, dall’importante significato. Ha
dato un colpo ai nostalgici stalinisti e ha incoraggiato i democratici i quali
hanno subito esortato il presidente a compiere passi concreti, a cominciare
dalla rimozione della tomba di Stalin dalle mura del Cremlino. Ma la sincerità
di Putin potrebbe essere messa alla prova su un’altra questione:
l’atteggiamento delle autorità giudiziarie
nell’inchiesta sul massacro di Katyn. Finora tutte le richieste di
risarcimento delle vedove e dei parenti degli ufficiali polacchi fucilati dagli
uomini del Nkvd nel 1940 sono state respinte con scuse pretestuose e ridicole.
Sarebbe ora di cominciare a rispettare la legge della Federazione Russa sulla
riabilitazione e sul risarcimento delle vittime delle repressioni politiche
adottato dopo il crollo dell’URSS, rimasta finora per lo più sulla carta.