Pyongyang alza il tiro, Obama reagisce e cerca l’appoggio della Cina

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Pyongyang alza il tiro, Obama reagisce e cerca l’appoggio della Cina

24 Novembre 2010

Altro che Six Party Talks e rimozione dalla lista statunitense dei ‘paesi canaglia’. La Corea del Nord non mostrava un’aggressività del genere dagli anni ’80. Ieri infatti colpi d’artiglieria nordcoreana hanno raggiunto l’isola sudcoreana di Yongpyeong , nelle acque del Mar Giallo, sulla Linea Limite del Nord (Northern Limit Line, NLL). L’attacco ha lasciato sul campo due morti militari sudcoreani e almeno diciassette feriti tra la popolazione insulare composta principalmente da pescatori. Cento le case distrutte. Motivo ufficiale dello scontro: la rivendicazione nordcoreana delle acque territoriali sotto controllo sudcoreano e le esercitazioni sudcoreane-statunitensi a Hoguk.

Le schermaglie di confine arrivano ‘inaspettatamente’, in momento particolarmente delicato sullo scacchiere della penisola coreana. Le due Coree erano addirittura sul punto di scambiare osservatori della Croce Rossa Internazionale. L’attacco di ieri giunge però dopo la scoperta di un nuovo impianto di arricchimento di uranio cui le autorità di Pyongyang hanno dato volontariamente pubblicità conducendovi uno scienziato americano. A ciò si aggiunga la pubblicazione di recenti foto satellitari indicanti un aumento di attività attorno ai siti di testaggio nucleari nordcoreani. E ancora la campana a morte della ”politica del sol splendente” intrapresa da Seoul per riannodare con Pyongyang (una sorta di Ostpolitik in salsa coreana). E infine la successione al vertice del regime totalitario del Nord Corea. Queste l’insieme di cause che hanno fatto tornare a soffiare i venti di guerra nella penisola.

Per il momento poco è stato intrapreso dal governo sudcoreano, se non una proporzionale risposta ai colpi di artiglieria del Nord. Il Presidente sudcoreano Lee Myung-bak, fortemente sostenuto dall’alleato statunitense (il quale ha già mobilitato gran parte delle forze navali e d’aviazione presenti nella regione), ha minacciato Pyongyang di ritorsione qualora altre provocazioni si fossero avverate. Da notare la postura ufficiale di Seoul: rispondere fermamente alla provocazione di Pyongyang, ma non far salire il livello dello scontro. Una disamina più dettagliata degli eventi, comunque, ci spinge a ritenere che le ragioni nel campo nord-coreano per questa escalation possano ritrovarsi attorno a due ipotesi maggiori.

La prima ipotesi è che il cambiamento di leadership al vertice del regime totalitario-comunista del Nord possa aver a che fare tale con quello che è successo. E’ noto infatti che il leader del regime comunista, Kim Jong-Il, stia aprendo la via della successione a suo figlio Kim Jong-un. In una fase di transizione al vertice, la via maestra per un regime che ha fondato la propria criminogena propaganda sul mito della ‘riconquista’ o della ‘liberazione’ del Sud della penisola, è riutilizzare il logoro megafono propagandistico del ‘nemico esterno’, sia esso sudcoreano o statunitense, rialzando il livello dello scontro e favorendo, nel trambusto di “vari” colpo d’artiglieria, un nuovo vertice civile e occupando i militari nei loro ‘affari correnti’. Ricordiamo che quando, tra il 1994 e il 1997, Kim Jong-Il ascese al potere, uno dei suoi primi gesti fu il lancio del Tapedong, un missile nordcoreano, simbolo allora della forza della nuova leadership. Non è da escludere che quello che stia avvenendo ora sia da ricondurre ad una simile tattica politica.

La seconda ipotesi, in qualche modo connessa con la prima, vorrebbe che la mortifera provocazione di ieri possa esser stata manifestazione di un dissidio tra i poteri all’interno della leadership militare e/o civile del regime. Con la transizione a metà degli anni novanta tra Kim Il-sung e Kim Jong-Il, massicce purghe nell’establishment militare e politico della nazione ebbero luogo, cosa che potrebbe aver indotto alcuni a Pyongyang a ritenere che, tirando aria di transizione, manifestazioni  guerriere di potere militare, come quelle di ieri, potrebbero risultare utili per un dialogo nei confronti della prossima leadership o a quella ancora in carica. Insomma potrebbe essere il colpo di coda di chi si sente il terreno tremare sotto i piedi.

Quando di  parla di penisola coreana, alla complessità delle questioni “interne” ai rapporti tra Seoul e Pyongyang, si debbono sempre aggiungere anche il ruolo degli attori regionali, USA e Cina in testa. Quanto ai primi, evidentemente, Washington è costretta a fare i conti con l’ennesimo fallimento della politica declamatoria del bastone e della carota. Di fatto il bastone non si è mai visto. Il problema, in gran parte gestito a livello diplomatico da uomini espressione delle amministrazioni Bush jr.,  Christopher R. Hill in testa, è stato di non aver saputo esprimere alcuna capacità di repressione nei confronti dei test nucleari nordcoreani del Ottobre 2006 e del Maggio 2009.

Di fatto si stima che Pyongyang disponga oggi di almeno una decina di testate nucleari. Di fronte a tali provocazioni, Washington ha sempre tentennato, dimostrando piuttosto di voler contare comunque sul tavolo del Six Party Talks, il quale ormai è un mini-consesso certo morto, e con gli attacchi di ieri, anche sepolto. Neanche l’amministrazione Obama sembra cavarsela meglio però. Stephen Bosworth, l’emissario della Casa Bianca per i rapporti con il dossier del nucleare coreano, aveva appena visitato Pyongyang. Dopo due giorni ecco il casus belli. Non un gran risultato. Coincidenza? Forse. Due uomini d’arme sono morti. Cento case distrutte. E le borse internazionali hanno vacillano sotto le nubi nere dei venti di guerra.

E la Cina? Non è chiara la postura di Pechino in merito a questo nuovo gesto militare del “vecchio” alleato nordcoreano. Per quanto Pechino stia dimostrando di essere in grado di esprimere una spregiudicata politica – di giorno in giorno più globale – il dossier coreano appare una spina nel fianco che la dirigenza cinese fatica a estrarre dal suo ‘corpo’. Da una parte, infatti, la Cina è frustrata dal costante sabotaggio da parte di Pyongyang delle proprie iniziative diplomatiche che han sempre teso, negli anni, ad una denuclearizzazione della penisola coreana. Dall’altra Pechino è comunque costretta a sostenere economicamente e politicamente Pyongyang, temendo che un collasso del regime nordcoreano possa mettere il governo di Seoul in una posizione di primato strategico nella penisola, portando un alleato di Washington a ridosso dei confini cinesi.

Quello che emerge comunque è che oggi i destini della pace sulla penisola coreana dipendono molto più da Beijing che da qualsiasi altro attore regionale. Se questa è la risolutezza con cui la Cina si prepara a gestire gli affari del mondo, ci sembra ci sia da preoccuparsi. Come si dice:” Se il buongiorno si vede dal mattino…”.