Quagliariello: “Alfano schiaffeggiato e pure contento”
23 Ottobre 2015
Ma Alfano, alla fine, ce l’ha o no il famoso “Quid”? Quando, dopo un’ora passata a riavvolgere il film della storia Ncd, Gaetano Quagliariello si trova di fronte all’alternativa secca, tace per un minuto e mezzo. «Non commentai allora, quando Berlusconi disse che non l’aveva, sarebbe inopportuno farlo oggi», si risolve a dire.
È stato il primo, tra i ministri del Pdl nel governo Letta, a dire che era ora di lasciare Berlusconi. Adesso che guida la fuoriuscita non berlusconiana dall’Ncd verso una vaga «alternativa a Renzi», nel ripercorrere gli ultimi due anni contesta l’appiattimento su Renzi: «Serviva sparigliare». E Alfano? «È preda della sindrome dei Brutos, quel vecchio carosello in cui uno alla fine prendeva sempre uno schiaffo ed era pure contento».
L’Ncd era nato per rifondare il centrodestra. Dopo due anni siamo a un pulviscolo di defezioni, ritorni alla casa madre, attrazione verso la calamita renziana. «L’Ncd va letta all’interno di un fenomeno più grande, la transizione post elezioni 2013. Abbiamo avuto un ruolo positivo, lo rivendico: siamo nati su un programma di collaborazione eccezionale, in un momento eccezionale, quando Berlusconi, dopo la sua condanna, ha rotto il patto su cui si reggeva il governo di larghe intese. Non c’era un piano B: si rischiava lo scenario greco».
Invece poi il piano B è arrivato: Renzi.
«Le riforme sono state definite, la situazione economica è cambiata. L’eccezionalità è finita. Oggi c’è da un lato l’antisistema, Grillo. E dall’altro il sistema renziano, che prevede la convivenza tra il Pd e una serie di lobby parlamentari, o alleati che non sono neppure minori: sono alleati apparenti, come il partito dei contadini nelle democrazie popolari».
È stato sbagliato appoggiare la nascita del governo Renzi?
«Un passaggio nato nel Pd. Ci fu chiesto: ci state o vi tirate indietro facendo cadere la legislatura? La vivemmo così».
Non avevate scelta?
«L’esperienza di governo doveva proseguire. Eravamo in buona fede, nessuno di noi ha contrastato il patto del Nazareno, abbiamo collaborato al processo di riforma fino in fondo. Ma, dal punto di vista dell’assetto di governo, oggi dico che bisognava pensarci di più. Dovevamo sparigliare».
A lei l’arrivo di Renzi costò la poltrona da ministro…
«I ministeri erano diventati tre. Uscii io, perché la regia delle riforme stava nel patto del Nazareno. Mi sono messo a tirare la carretta, fino a oggi».
Quando Lupi si dimise da ministro si disse che l’Ncd era «un comitato di sostegno per la permanenza di Alfano al governo».
«La leadership di Alfano è stata una scelta obbligata, nata da una storia precedente. Per lui è stata anche una croce. Ma no, se mi devo dare una colpa, è quella di non aver insistito affinché rifiutasse di essere ministro dell’Interno».
Un errore?
«Il titolare del Viminale deve andare d’accordo con il presidente del Consiglio, è un porta-silenzi. Ma il leader di un partito, specie se piccolo, deve avere una posizione non sdraiata, deve poter fare polemiche. Col doppio ruolo, si è innescato un conflitto profondo che Alfano ha cercato di gestire con le armi della politica contingente. Non è un caso che nella storia repubblicana nessuno abbia fatto come lui».
Renzi invece al governo non l’ha voluta più. Si dice sia arrivato a proporre all’Ncd: «Piuttosto che Quagliariello vi do due donne».
«Quando l’ho letto, mi sono sentito come un fustino del Dixan, ho avuto paura che arrivasse Paolo Ferrari! Ma credo che sia una balla».
La sua polemica deriva dal non essere più ministro?
«Sarebbe sbagliato dire “non me ne frega niente”: certi ruoli è un onore occuparli. Ma si derivano, non si conquistano. E alla fine penso che, se è vero che Renzi non mi voleva, aveva qualche ragione: perché io non mi sarei collocato in seno al suo sistema».
Che cosa l’ha spinta a dimettersi da coordinatore dell’Ncd?
«Il bivio è: ci adattiamo a un quadro privo di uno spazio terzo o proponiamo un’alternativa? Rimanere in mezzo al guado tra le due opzioni, come fa l’Ncd, induce a una spaccata per la quale non ho i muscoli. E tra due anni, per trovare l’ultimo elettore Ncd ci sarà bisogno dell’archeologo».
L’alternativa non può nascere dal partito di Alfano?
«Il processo di transizione è andato avanti: oggi è impossibile. Avevamo pensato di costruire il nuovo centrodestra, ma non è accaduto. Restando al governo non abbiamo avuto lo spazio. E per farlo serve essere autonomi, coraggiosi, originali. Invece l’Ncd si ostina a raccontare di aver conquistato Renzi. Ma non è vero, non ci crede nessuno, sembra una barzelletta! Renzi fa cose da Renzi. Fa tutto lui».
Alfano non è stato all’altezza?
«Il compito era difficile per tutti, buttargli la croce addosso sarebbe da vigliacchi. Oggi lui pensa che tutto si riduca a un quadro di sistema-antisistema e che ci si debba ancorare al sistema. Penso invece che devi provare a costruire un’alternativa. Le prossime amministrative saranno decisive: se vince una “alternativa civica”, nasce una nuova storia».
Ma esiste oggi questa “alternativa civica”? Sembra vago…
«Non esiste, ma esistono Marchini a Roma, Di Piazza a Trieste, si cercano per le altre città candidati sul modello di Brugnaro a Venezia».
Che cosa ne sarà adesso di lei? E dell’Ncd?
«Del partito non sono più titolato a dire: penso che saremmo dovuti passare all’appoggio esterno, non è stato così. Su di me dico solo ciò che non farò: non farò un altro partito, non farò la scissione dell’atomo, non tornerò indietro».
Gruppi parlamentari li farà?
«I gruppi sono uno strumento, non un fine. Ma in quanto strumento…».
L’Italicum rende impossibile fare coalizioni. Le dispiace che Alfano abbia detto sì al premio di lista in cambio del calo al 3 per cento della soglia di sbarramento?
«Non riusciremo a rifondare il centrodestra sommando sigle. Quanto alla trattativa, in quel momento noi non eravamo decisivi, c’era il Nazareno. Dopodiché, se un alleato ti chiede di rivedere le regole, come facemmo noi, e tu rispondi, come fece Renzi, che “agli italiani di Ncd non frega niente”, io al posto di Alfano avrei mollato».
È lo stesso film di oggi sulle unioni civili?
«Per chi ha i nostri princìpi la vedo male: sono nel programma del Pd, ministri e sottosegretari ci mettono la faccia, i Cinque Stelle sono pronti a votarle. Quadro strano, per un alleato di governo: ancora più strano dirsene soddisfatti!».
“Soddisfatto” si è detto Alfano.
«È la sindrome dei Brutos. Ha presente? Quel gruppo di un carosello in cui alla fine, invariabilmente, uno prendeva un ceffone. Ed era pure contento di prenderlo».
Siamo a «Gianni, nonostante gli schiaffi che hai preso, hai sempre una buona cera»?
«Alla fine vorrei un atto di coraggio. Per citare i Puritani di Bellini: “Suoni la tromba e intrepido io pugnerò da forte”. Metto nel conto di non farcela, sono convinto che ne valga la pena. Ci sono momenti in cui le analisi valgono più delle truppe. E persino dei soldi».
(Tratto da L’Espresso)