Quagliariello: “è presto per fare i conti sul tesseramento”

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Quagliariello: “è presto per fare i conti sul tesseramento”

03 Febbraio 2010

Gaetano Quagliariello ricorre a un detto per fotografare la situazione: «Niente se mi considero. Tanto se mi confronto». Perché il vicepresidente dei senatori del Pdl non nasconde i problemi del suo partito, sul tesseramento, ad esempio: «Finora ci siamo concentrati su altro. Si potrà dire se l’operazione è riuscita quando si entrerà nel merito». Ma sottolinea che non sono nulla rispetto ai guai altrui: «Rispetto all’altra parte scoppiamo di salute. In Calabria il Pd non ha ancora un candidato, in Campania è in atto su De Luca una campagna giustizialista, in Puglia Vendola rappresenta la liquidazione del progetto di D’Alema, nel Lazio si presenta la Bonino che è capolista in Lombardia contro il Pd, per non parlare dell’Umbria e di Prodi a Bologna».

Ciò detto, qualche problema ce l’ha pure il Pdl?

Direi qualche problema di crescita, fisiologico per un partito nato a marzo dalla fusione di due esperienze politiche complesse. La criticità sta nel rapporto tra leadership carismatica e organizzazione: si deve evitare che l’organizzazione diventi fattore di freno di quella leadership da cui è legittimata.

Si riferisce al proliferare delle correnti?

I problemi non vengono dalle correnti di An. Del resto nella costruzione di un partito si deve partire da ciò che esiste di concreto sul campo, e non tutto ciò che è reale è razionale o deve piacere per forza. E i problemi non vengono nemmeno dal cosiddetto “correntone doroteo” di Arezzo. Anzi, quel momento lo vedo come un tentativo di superare le correnti. Quando Gasparri ha affermato con una battuta «Se An si ricostituisse io rimarrei nel Pdl» ha voluto dire che ormai le vecchie appartenenze vanno scomparendo.

E allora dove sono i problemi?

La situazione è in bilico tra il consolidamento e il superamento delle correnti. A me sembra che questa seconda tendenza sia più forte.

Sandro Bondi però, e non solo lui, ha sparato ad alzo zero sulle nomenklature.

Nella fase di discussione delle candidature qualcuno ha idealizzato il concetto di territorio. Ma la forza del territorio non può affermarsi a dispetto della leadership. Compito dell’organizzazione è radicare e diffondere il messaggio del leader. Se non lo fa lavora contro se stessa, visto che è il leader la fonte della sua legittimazione.

Questo in Puglia è avvenuto.

In Puglia si sono verificati tre eventi di rilevanza nazionale. Primo: la nascita di un fenomeno carismatico a sinistra. Secondo: è saltato il laboratorio D’Alema-Casini. Terzo: proprio per questo Casini è riuscito a piazzare, solo in Puglia, l’unica bandierina contro il bipolarismo.

Palese però a Berlusconi non piaceva affatto.

Il quadro che ho descritto avrebbe meritato una riflessione più adeguata. Resta il fatto che, una volta compiuta la scelta di Palese, che è un ottimo amministratore e ha fatto benissimo l’opposizione, il Pdl lo sta sostenendo senza remore. E poi ci sono anche realtà in cui tutto ha funzionato benissimo.

Quali, ad esempio?

In Piemonte, per dirne una, Roberto Cota e Enzo Ghigo si sono presentati assieme nei manifesti anche quando ancora non si sapeva il candidato governatore. Lì la scommessa di creare una classe dirigente coesa che salvaguardi il valore della leadership e regoli il rapporto con l’organizzazione è stata vinta.

Esclude che le nomenklature si stiano tutelando in vista del dopo Berlusconi?

Il rischio va sempre tenuto presente. In questa fase occorre una classe dirigente che tuteli il carisma di Berlusconi e che lavori affinché il partito possa durare.

Molti azzurri lamentano di essere fagocitati sul territorio.

Il problema è un altro. A Nord dobbiamo gestire una leale concorrenza con la Lega, che ha una classe dirigente forte e presente. Al Sud dobbiamo evitare che la presenza sul territorio diventi da valore civico un disvalore. Non direi che c’è una questione specifica tra Forza Italia e An.

Quindi basta quote?

La logica del 70-30 deve essere superata. Spero che nel sostegno ai candidati possa avvenire una contaminazione che non tenga conto dei partiti di provenienza. Del resto più avanti di tutti c’è sempre Berlusconi che, quando ha scelto Anna Maria Bernini per l’Emilia e Giuseppe Scopelliti per la Calabria, non ha guardato la provenienza ma il loro indubbio valore.