Quagliariello, “Il Palazzo deve entrare nella società”

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Quagliariello, “Il Palazzo deve entrare nella società”

Quagliariello, “Il Palazzo deve entrare nella società”

23 Maggio 2013

Il passato e il presente, i Padri costituenti e le larghe intese, l’Italia che usciva dalla Seconda Guerra mondiale per entrare nella Guerra Fredda e quella travolta dalla crisi economica del 2008. Le riforme, il web, il coinvolgimento popolare. Il ministro Gaetano Quagliariello per un giorno torna a indossare i panni del professore universitario, parlando di Storia, della nostra Costituzione, di giovani e ai giovani.

Lo fa alla presentazione del Settimo Rapporto "Generare Classe Dirigente", che si è svolto il 22 maggio presso il LUISS Enlabs della Stazione Termini. "La Costituzione italiana è una vicenda molto particolare," esordisce Quagliariello, ricordando la nascita della Repubblica, "anche allora c’era un governo che con il linguaggio giornalistico di oggi definiremmo di larghe intese". L’unica volta che in decenni di storia repubblicana centrodestra e centrosinistra ne abbiano condiviso uno. Cristiani, socialisti, comunisti. L’unica volta, prima della ‘strana maggioranza’ di Enrico Letta. Allora fu la Guerra Fredda a mettere una pietra sopra l’accordo tra quelle "famiglie politiche", con l’uscita dei comunisti dal Governo. "Se leggete gli atti della Costituente vi accorgerete che c’è una diversità enorme tra quella parte dei lavori che si svolsero quando c’erano le larghe intese e quella parte che invece si svolse dopo, quando la Guerra Fredda aveva già determinato tutte le sue conseguenze sul Governo".

Quagliariello spiega che l’esperienza della Costituente e dei governi di unità nazionale vide protagonisti dei giovani, tanto è vero che "alcuni di loro hanno compiuto tutto il cursus honorum arrivando da allora fino ai giorni nostri". Cita Meuccio Ruini, il politico emiliano che fu tra i Costituenti e Presidente del Senato nel ’53. "Si dice spesso che la nostra Costituzione è la più bella del mondo e certamente ha resistito nel tempo e ha consentito all’Italia di crescere," ma Ruini, tra gli autori della Seconda parte della nostra Carta ("un uomo che veniva dall’Italia liberale e aveva grande capacità di mediazione tra le forze presenti in Parlamento"), mise in guardia dall’illusione di creare una Carta perfetta. "In questi difficili tempi storici, abbiamo fatto il meglio che si sarebbe potuto concepire. Non abbiamo prodotto una Costituzione perfetta ma un nobile e alto compromesso", cita Quagliariello ed elenca le "tre pagine" della Costituzione che, sempre secondo Ruini, avrebbero dovuto essere completate e migliorate dalle generazioni successive: forma dello Stato, forma di Governo e in particolare quella dell’Esecutivo, bicameralismo. "Sono 30 anni esatti che si parla di riforma della Costituzione," sottolinea il ministro, "ma quella eredità è rimasta irricevuta".

Almeno fino quando – dalla Storia si passa al presente, alla nostra vita quotidiana – "abbiamo scontato tutto il peso di quella mancanza e ci siamo accorti che le istituzioni non sono esercizio astratto di ingegneria costituzionale ma hanno a che fare con la salute di un Paese, la qualità della sua democrazia, del rapporto tra le generazioni, della sua economia". Non è la prima volta che Quagliariello lega la crisi istituzionale e della politica a quella economica, spiegando che solo gli Stati con istituzioni forti sono in grado di "assorbire le tensioni" del presente. La volontà di riformare la Costituzione non nasce da una messa in discussione del suo valore, ma da una prova del nove sulla sua efficacia. Il ministro cita un altro grande studioso di Storia, il professor Samuel Huntington, "che avrebbe definito la nostra Costituzione di ‘prima generazione’ ", cioè compresa tra quelle scritte all’indomani della Guerra. Il resto dell’Europa è andato avanti, ci sono state Costituzioni di "seconda generazione", come quelle dei Paesi usciti da regimi autoritari (Grecia, Spagna, Portogallo), e quelle di "terza generazione" scritte dopo la caduta del Muro di Berlino. "L’Italia", commenta Quagliariello, "resiste ancora con il primo impianto e con quelle tre pagine che non sono state completate". "Tutto questo pesa sulla nostra vita civile ed economica".

Da noi servono tempi biblici per far passare una legge, siamo il Paese più lento in Europa. Una situazione che si scontra con i processi di accelerazione impressi alla nostra vita quotidiana dallo sviluppo sempre più rapido della tecnologia, "i processi decisionali si sono compressi e devono essere veloci se vogliono mostrarsi efficaci". Così la trasformazione sociale determina un adeguamento degli strumenti costituzionali, chiede innovazione alla politica per far vivere realmente quegli strumenti pensati dai nostri padri nella nostra esistenza. Se questo "aggiornamento" non riuscisse, "sarebbe il fallimento definitivo di questa classe dirigente, che verrebbe travolta, maggioranza e opposizione, centrodestra e centrosinistra". I campanelli d’allarme, come li chiama il ministro, sono "innumerevoli" e la politica ne deve tenere conto.

Per Quagliariello, "tutta la teoria della rappresentanza democratico-liberale si basa su una concezione ampia del tempo politico. I rappresentanti democraticamente eletti hanno tempo a disposizione per rispondere alla propria coscienza e al proprio elettorato, possono contare su una ‘sedimentazione’ delle scelte e delle decisioni che, alla fine del mandato, li metterà davanti al giudizio degli elettori. "Ma cosa è accaduto nella vita reale?", si chiede il ministro, "Lo spazio della politica si è sempre più ristretto, i tempi della comunicazione politica e della reazione pubblica si sono sempre di più accelerati, prima con la televisione, poi con i sondaggi, infine con Internet e i social network. Il tempo di reazione a una decisione presa da un politico è diventato quasi immediato". L’esempio più attuale è stato la elezione del Presidente della Repubblica. In un regime democratico dominato dalla simultaneità, abbiamo assistito al fenomeno per cui anche i grandi partiti storici hanno deciso di rispondere ai messaggi su Twitter degli elettori piuttosto che alle indicazioni del loro Segretario.

Se la politica vuol salvarsi dalla dittatura del web e dall’anarchismo di Internet, se, per dirla con Quagliariello, vogliamo "salvare la rappresentanza democratico-liberale" occorre trovare "gli strumenti costituzionali che tengano conto di queste variazioni e che consentano al nucleo duro della democrazia di reggere". E’ il cuore del discorso fatto dal ministro, "La vita democratica si può innovare ma rispondendo a quei presupposti che i Padri costituenti pensarono scrivendo la nostra Carta. E’ questo il nostro grande compito: non scardinare la Costituzione ma renderla più adeguata ai nostri tempi". Da qui il metodo per le riforme, anticipato ieri durante la audizione alle Commissioni congiunte di Camera e Senato: da un parte il lavoro svolto dal parlamento in accordo con il Governo ("Dalle riforme dipende la vita del governo"), dall’altro il tentativo di "far uscire il dibattito dal Palazzo".

Secondo il ministro, "Deve lievitare la sensazione che non si sta parlando di ingegneria costituzionale ma di qualcosa che riguarda la vita e il benessere di ognuno di noi e soprattutto quello delle giovani generazioni". Il metodo, dunque. Coinvolgere gli esperti, anche i "pratici", come li ha chiamati nei giorni scorsi, e soprattutto i giovani, "all’interno di questo processo di cambiamento, tenendo conto delle loro rappresentanze democraticamente elette". Far partire una grande consultazione popolare, "attraverso Internet e gli strumenti che la tecnologia ci mette a disposizione, affinché i giovani possano apprendere qual è il succo del dibattito e costringere i decisori a parlare un linguaggio semplice che possa essere compreso da tutti". Serviranno dei "protocolli" per regolare questa consultazione e Quagliariello cita il lavoro svolto in passato dai ministri Brunetta, Passera, Barca, "seguirò le loro orme". Referenti di questa iniziativa saranno le università, che studieranno come mettere in atto i protocolli definendo le forme di partecipazione.

Quagliariello ha in mente un quadro di Boccioni, "La strada entra nella casa", realizzato dal grande pittore e scultore di origini calabresi nel 1911. "Noi dovremmo avere l’ambizione di scrivere ‘Il Palazzo entra nella società’ ", chiosa il ministro rivolgendosi alla platea di giovani e studenti universitari che lo ascoltano. "Sulle riforme," conclude, "vinciamo o perdiamo se riusciamo a coinvolgere il Paese".