Quagliariello: “L’opposizione mente anche sul referendum”

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Quagliariello: “L’opposizione mente anche sul referendum”

17 Aprile 2009

La polemica sulla data del referendum, dentro e fuori la maggioranza, la "via d’uscita" con le due opzioni sul tappeto, "l’ostracismo strumentale" dell’opposizione.  Gaetano Quagliariello, vicepresidente vicario dei senatori del Pdl, affronta i temi che da giorni agitano il dibattito politico, compreso il delicato capitolo dei rapporti tra Pdl e Lega (ma non solo).

Senatore Quagliariello, andremo a votare per il referendum il 21 giugno oppure tra un anno?

Sono le due ipotesi in campo. Sul piano tecnico, per quella che è la legge, l’unica data possibile è il 14 giugno oltre la quale c’è bisogno di un decreto legge o di una legge.

Ipotesi però già scartata nel vertice con il premier Berlusconi.

Il ragionamento che abbiamo fatto è molto semplice: mantenendo una solidarietà di fondo nella maggioranza perchè la tenuta del governo in un momento di crisi come questo è il bene maggiore che abbiamo, e consapevoli della necessità di intervenire e anche di intraprendere una battaglia parlamentare perchè è assai probabile che l’opposizione, strumentalmente, cercherà di puntare sulla data del 14 giugno per dimostrare che sprechiamo i soldi, valutiamo insieme agli alleati e alla stessa opposizione se è meglio il 21 o un rinvio di un anno.

Secondo lei quale delle due soluzioni alla fine prevarrà?

Il 21 giugno ha il vantaggio dell’accorpamento e dunque consente una riduzione maggiore delle spese. Il rinvio al 2010 offre la possibilità di spiegare meglio la posizione strumentale dell’opposizione e, permette di lasciare aperto un più generale processo di riforma istituzionale. L’aver messo nelle mani del ministro Maroni la scelta, è la garanzia per la Lega che nella maggioranza nessuno intende giocare sporco. Quello che sin d’ora si può dire è che questa vicenda è la misura delle difficoltà in cui si trova l’opposizione, costretta a strumentalizzare qualsiasi cosa.

Si riferisce alla questione delle spese?

Le cifre sulle quali si è montata la polemica sono del tutto fantasiose. LaVoce.info che ha eseguito il calcolo, nel determinare i 400 milioni ha inserito persino la spesa della benzina che gli elettori avrebbero consumato per recarsi ai seggi.

E qual è la verità?

La realtà è che col voto il 21 giugno le spese ammonterebbero all’incirca sui 50 milioni. Dire poi che questa cifra si leva all’Abruzzo, e oltretutto dirlo a L’Aquila, significa per davvero fare sciacallaggio politico, perchè con questa logica dovremmo abolire anche le amministrative o le elezioni europee. In secondo luogo, solo il 3 per cento degli italiani conosce il merito della proposta referendaria che praticamente dice che il premio di maggioranza del 55 per cento, viene dato al partito che prende più voti e non alla coalizione. Questa legge, dunque, avrebbe l’effetto di introdurre un bipartitismo drastico: niente di male, sopratutto al tempo in cui il referendum è stato proposto.

Da allora sono passati poco meno di tre anni ma il quadro politico è profondamente mutato.

Per quel che concerne lo sviluppo del sistema poltico si tratta di un’era geologica: c’era una frammentazione assurda che aveva portato all’elezione del Parlamento con il maggior numero di  partiti mai esistito nella storia repubblicana. Ma sopratutto non c’erano nè il Pdl nè il Pd, dunque non si sapeva ancora a chi sarebbe andato il premio di maggioranza. Oggi la realtà è completamente diversa perchè una parte del lavoro è stato fatto dagli elettori già lo scorso aprile e la frammentazione si è ridotta drasticamente. Ma quello che l’opposizione non dice, è che oggi non ci sarebbe più nessuna competizione sul premio di maggioranza perchè anche il sondaggio più sfavorevole dà il Pdl in vantaggio di 18 punti sul Pd. Insomma è sicuro che il Pdl da solo prenderebbe il 55 per cento dei seggi,  a cui andrebbero aggiunti quelli degli alleati. Se veramente volessimo percorrere la strada referendaria, saremmo noi a dover convincere i cittadini ad andare a votare. Per molto meno l’opposizione ha gridato alla legge truffa, alla deriva plebiscitaria, al regime o alla dittatura "dolce". E’ evidente la strumentalità con cui grida per avere un referendum che la ridurebbe ai minimi termini.

Eppure il governo ha rischiato di cadere proprio sul referendum per il veto della Lega all’election day. C’è chi sostiene che Bossi ha vinto ancora una volta. Cosa risponde?

Il nostro è stato un atteggiamento serio: non si può accorpare un referendum così favorevole al Pdl a un turno nazionale garantendosene automaticamente il successo. Detto questo, è evidente che con la stessa serietà, esiste il problema di trasferire in regole quello che è già diventato senso comune per i cittadini e cioè la possibilità che la lotta politica si faccia intorno a poche proposte e attorno a grandi partiti che abbiano vocazione maggioritaria, che ci sia un esecutivo che incarni lo Stato, specie in situazioni di emergenza e che siano dati al governo strumenti per operare e al Parlamento srtrumenti per controllare, fuori da una logica assembleare che fondamentalmente è quella che permea le nostre istituzioni.

Sì, ma è stato un prezzo pagato alla Lega?

Non c’è dubbio che per far questo sarà necessario superare diffidenze e difficoltà da parte degli alleati che potrebbero far rinascere le vecchie logiche che hanno bloccato in passato l’azione di Berlusconi e ne hanno limitato la forza della leadership. Con queste cose che non sono solo della Lega, bisogna fare i conti, ma non lo si può fare attraverso strappi illogici e ingiustificati. 

Tuttavia c’è chi nel Pdl ritiene che il Carroccio stia sempre più alzando la posta, specie nei confronti del premier. E’ così?

La Lega imparerà a rapportarsi con un partito che è più strutturato e credo che questo faciliterà anche il compito di Berlusconi. Per il resto, la Lega fa il suo gioco; è necessario che assumiamo noi delle iniziative ora e che il Pdl esiste, sia a livello centrale, sia sui territori. In questo modo ci sarà un confronto e in qualche caso una sana conflittualità. Ciò che è importante è che il rapporto di fondo resti saldo. Io non dubito della lealtà della Lega e credo che la Lega non abbia motivi per dubitare della nostra: entrambi sappiamo però, che sul lungo periodo non abbiamo ipotesi identiche rispetto allo sviluppo del sistema politico.

Perchè?

Noi puntiamo sul ritorno dello Stato, anche se in un contesto nel quale questo non può più essere lo Stato ottocentesco e nemmeno quello novecentesco. L’orizzonte culturale  della Lega, invece, si ferma al Comune ed è quindi più particolaristico.

Questo vuol dire che andrete avanti con una sorta di spada di Damocle sulla testa?

No perchè l’ipotesi di una organizzazione federale e quella di uno Stato autorevole, come la storia insegna, sono assolutamente compatibili. Nell’orizzonte culturale del Pdl vi è l’autonomismo e il buongoverno dei Comuni, sopratutto se tradotto in lombardo-veneto. E’ importante che la Lega non si faccia attrarre dalle "sirene" di una sinistra che sposa lo Stato debole non per scelta culturale, ma perchè in crisi egemonica e di progettualità.

Teme sorprese in questo senso ad esempio sul federalismo fiscale che andrà al voto finale al Senato il 28 aprile?

Sul federalismo fiscale la Lega ha strizzato l’occhiolino alla sinistra, ma poi se invece ha bisogno di affermare l’autorevolezza dello Stato su temi come quelli dell’immigrazione, della sicurezza, ritrova non a caso nella sinistra il suo peggior nemico e nel centrodestra l’unico interlocutore possibile. Ciò che conta è che queste misure non passino anche nel senso comune come misure meramente difensive, autoritarie e punitive dei più deboli, ma vi sia uno sforzo reale per far comprendere che queste sono misure adeguate alle emergenze del nuovo secolo. Misure che riescono a mettere insieme e a dare riposte alle opposte debolezze, quelle dell’immigrato e quelle dell’abitante della banlieu di una grande città che si vede ormai espropriato del proprio territorio; quella dell’immigrato e quella delle donne che vogliono camminare libere nel proprio quartiere senza la paura di essere stuprate; quella delle donne immigrate che spesso si trovano a godere di ancora meno diritti di quelli che spettano loro nei paesi di origine. Su tutto questo, credo ci sia un ritardo di elaborazione anche da parte del centrodestra e se ci fossimo interrogati per tempo sulle nuove debolezze, probabilmente non ci sarebbero stati nè gli appelli sottoscritti da decine di parlamentari, tantomeno i franchi tiratori.