Quagliariello: “no ai Pdl del Nord e del Sud”
22 Dicembre 2011
Al Pdl del Nord, auspicato dal governatore lombardo Roberto Formigoni, corrisponderà un Pdl del Sud? Per Gaetano Quagliariello, vicepresidente vicario del gruppo del Popolo della Libertà di palazzo Madama, sarebbe «un errore, un gravissimo errore».
Quagliariello, perché lei, invece, giudica un errore riorganizzare il Pdl in chiave territoriale?
«Una cosa è affermare la necessità di affrontare in chiave politica il problema settentrionale che non può essere sottovalutato: soprattutto ora, con la Lega all’opposizione. Un’altra è tradurre questa esigenza dal punto di vista organizzativo. Insomma, le due cose non possono andare assieme».
Eppure, la proposta di Formigoni suscita interesse. Così come quella che formulò il filosofo Cacciari qualche anno fa, quando suggerì un Pd organizzato anch’esso autonomamente per territori. Cos’è che, invece, non la convince di questa prospettiva?
«La nostra è una partita diversa: noi siamo l’unico partito nazionale e se perdiamo questa caratteristica rischiamo di precipitare verso la disgregazione. Noi siamo il partito dei moderati, siamo attestati al 25 per cento dei consensi, e abbiamo la necessità di consolidare le nostre posizioni, non disperderle. Possiamo anche rinviare il tema delle alleanze, ma non possiamo parcellizzare la nostra identità: altrimenti rischiamo di ritrovarci il Pdl della Campania, quello della Puglia, e ancora: quello del Sannio, della Capitanata e via dicendo».
La Russa immagina un ticket di vertice politico Formigoni-Alfano. Al Sud da chi potrebbe essere rappresentato?
«Il segretario nazionale è uno e, aggiungerei, è "materia non disponibile". Usciamo da un’esperienza di leadership carismatica e ci avviamo verso la costruzione di una nuova fase politica. Che poi si voglia sperimentare un vertice allargato, con una segreteria ampia, inclusiva e non esclusiva, che comprenda tutti, è un tema sul quale possiamo anche discutere; ma partendo sempre e comunque da quei presupposti cui accennavo in precedenza, senza parcellizzazioni territoriali. Vede, per anni si è parlato di Forza Italia e del Pdl come partiti di plastica. Invece, è venuto fuori un partito con oltre un milione centomila iscritti e diffusamente radicato sul territorio».
Non pensa che un Pdl del Sud possa costituire una risposta concreta alle istanze, spesso rimaste inascoltate, che provengono dal Mezzogiorno?
«Certamente sarebbe una suggestione forte per chi denuncia, giustamente, i ritardi del Mezzogiorno. Il rischio del localismo al Sud è fortissimo, tuttavia sarebbe un passo indietro rispetto alla soluzione dei problemi. Invece, grazie anche alle pressioni e all’impegno dell”ex ministro Fitto, siamo riusciti a fornire priorità alle questioni vere delle regioni meridionali, senza per questo farne casi di febbrile suggestione territoriale».
Eppure, sono anni che nel Mezzogiorno si tenta di aggregare movimenti e partiti intorno a sigle che evocano il riscatto del Sud. Molti piccoli partiti che inneggiano al Sud sono vostri alleati. Dunque, è evidente che c’è una domanda che va in questa direzione.
«Il Sud è un grande problema nazionale e guai se diventasse prospettiva lontana di una visione microcosmica. Guardiamo a cos’era l’Europa. L’Europa è stata una scommessa giocata sulla possibilità di integrare il dualismo tra l’area baltica e quella mediterranea, vale a dire tra un’area impersonale fondata sullo stato di diritto e l’altra, cresciuta sulla centralità della persona. La scommessa è stata di tenere queste due dimensioni assieme. Ora, i venti di crisi dimostrano addirittura che il concetto di sovranità nazionale conta poco. E c’è chi pensa di creare tanti partitini autonomi sul territorio nazionale? Così si finisce contromano. Piuttosto, il problema è un altro».
Qual è?
«I tecnici pensino a risolvere l’emergenza economica. A noi, invece, il compito di capire come riformare il sistema politico. Il paese deve darsi strumenti adeguati per evitare di sbattere contro altre crisi. Abbiamo il dovere di interrogarci sulla opportunità di declinare in chiave presidenzialista, come auspico, il sistema politico; così come diventa indispensabile porsi il problema della legge elettorale».
Anche il caso Cosentino è un problema da risolvere.
«Nel caso di Cosentino vi è una doppia dimensione: quella giudiziaria, che va ancora definita; e poi il nodo dell’agibilità politica in alcune zone del paese dove è oggettivamente difficile fare politica in maniera ordinaria. È questo un tema che va considerato al di là dei casi singoli. Poiché una semplice raccomandazione può provocare effetti giudiziari dirompenti. Ma questo è un problema che dovremmo porci tutti, poiché riguarda tutti. Non solo il Pdl».
(tratto da Il Corriere del Mezzogiorno)