Quagliariello: “Territorio e comunità sono la forza del Nuovo Centrodestra”

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Quagliariello: “Territorio e comunità sono la forza del Nuovo Centrodestra”

05 Giugno 2014

«Noi abbiamo constatato sulla nostra pelle che una logica di chiusura “proprietaria” ha avuto il sopravvento anche quando la ragion politica avrebbe detto tutt’altro e avrebbe portato dei benefici innanzitutto al leader carismatico. Per quale motivo oggi, quando la logica politica è meno forte e i benefici meno chiari, dovrebbe accadere qualcosa di diverso in Forza Italia? Detto questo, non credo sia giusto da parte nostra entrare nel dibattito interno al partito di Berlusconi».

Gaetano Quagliariello si concede una pausa per calibrare le parole, ma gli si legge negli occhi il timore che nell’universo forzista si stiano riproponendo le stesse dinamiche di cui fu tra i primi a prendere atto quasi un anno fa. «E’ chiaro che se ci saranno smentite in questo senso – aggiunge sornione – la disponibilità resta intatta».

Intanto però il Nuovo Centrodestra è al governo…

«E occorre starci con più incisività, il che significa battersi per far valere le nostre proposte su fisco e famiglia, lavoro, immigrazione e cittadinanza. Credo anche che tali proposte debbano convertirsi in iniziativa popolare, perché non si può lasciare spazio nel Paese soltanto alle posizioni di una destra identitaria e lepenista».

Sulle riforme istituzionali troverete la quadra?

«Le riforme vanno fatte, presto e bene. Abbiamo presentato i nostri emendamenti, che vanno nel senso di migliorare il testo su bicameralismo e Titolo V. Credo che occorra porsi anche il problema del semipresidenzialismo, perché dopo il risultato elettorale di fine maggio se si vuol salvare una logica bipolare, bisogna legarla ad una proposta istituzionale. Non è sufficiente l’Italicum, che nelle condizioni date può addirittura facilitare la nascita di un sistema bloccato e senza alternativa».

Facciamo un punto sulla recente tornata elettorale. Soddisfatto del risultato raggiunto da NCD?

«Guardiamo a quel che è successo. Matteo Renzi, con la complicità involontaria dei sondaggisti, ha fatto esattamente il contrario di quel che fece Bersani un anno fa. Invece di fornire rassicurazioni sulla vittoria, ha tenuto fino in fondo aperta l’ipotesi di una sconfitta, e così ha bipolarizzato lo scontro e provocato lo sfondamento proprio sull’area moderata. Era dal 1958, dai tempi di Fanfani, che la forza principale di governo non andava oltre il 40%. In queste condizioni, il suo alleato non è scomparso, seppur esistesse da soli cinque mesi e fosse privo di un’organizzazione radicata. Credo che occorra fuoriuscire dalle categorie politiche e riferirsi alla provvidenza per darne una giustificazione».

All’immagine di NCD non hanno certo giovato alcune vicende…

«Lo dico con chiarezza: abbiamo pagato un prezzo per gli scandali che ci hanno investito».

Cosa è successo?

«E’ chiaro che nel momento della rottura non abbiamo operato, fondamentalmente per mancanza di tempo, alcun tipo di selezione. In alcuni casi ci siamo trovati anche al cospetto di situazioni che non immaginavamo e che non conoscevamo, nelle quali la politica però è parte lesa, non è colpevole. Potremmo parlare di segmenti affaristici esterni che hanno cercato di “infiltrarsi”. Rivendico la metafora che ho utilizzato tempo addietro: noi abbiamo costruito un confessionale per non far entrare il diavolo, e magari poi il diavolo ci si è ficcato dentro nostro malgrado. Ora non abbiamo più alibi: dobbiamo scacciarlo».

Detto dello tsunami che ha investito il quadro politico, NCD ha raggiunto il quorum, entrando in Europa dalla porta principale.

«L’esame è stato superato. Oggi quel 4,4% segna un nuovo inizio, il che vuol dire anche rilanciare la classe dirigente sul rinnovamento, sulla proposta politica. Non possiamo certo pensare di poterlo gestire. Abbiamo sia l’intelligenza politica che le risorse per rilanciare».

Cosa vuol dire rilanciare?

«Significa dare concretezza ad uno spazio di riformismo conservatore, preferisco questa definizione al termine generico di moderato, indispensabile per la ricostruzione di un pavimento comune della Nazione ed anche per non lasciare a Renzi e al Partito Democratico tutto l’elettorato centrista, in modo tale che si renda impossibile una dinamica bipolare e che si vada soltanto verso l’ipotesi di un partito della Nazione. Ci vuole tempo, ma questo è l’unico modo col quale si rimette in moto una dinamica veramente bipolare. Deve essere chiaro che senza una componente maggioritaria di tipo liberale, cattolico, riformistico, l’attuale centrodestra rischia di diventare l’Msi del terzo millennio, cioè un qualcosa di pura testimonianza destinato a perenne sconfitta».

Siamo alla vigilia dei ballottaggi, e proprio ieri avete fatto il punto con i coordinatori regionali del partito. Lei non si è risparmiato in questi mesi, macinando migliaia di chilometri. Come è stata la campagna elettorale del Coordinatore di NCD?

«E’ stata una campagna elettorale difficile, ma per certi versi anche esaltante. Io ho fatto una scelta, quella di provare ad essere presente in tutte e venti le Regioni italiane: scommessa vinta. E si tratta di un segno di rottura rispetto al passato».

Un Nuovo Centrodestra che riparte dal territorio?

«Uno dei problemi del centrodestra a trazione esclusivamente carismatica è che non è mai scattato quel rapporto indispensabile tra la dimensione nazionale e quella territoriale; anzi, coloro che operavano sul territorio sono stati considerati quasi un “fastidio”. Nel momento in cui il carisma ha perso parte della sua forza, era da mettere nel conto un’incredibile emorragia di voti. La proposta politica di una forza moderata, liberale, non può non avere un precipitato di concretezza, e questo si lega inevitabilmente ad un territorio e ad una comunità. Soprattutto nel momento in cui non c’è più la forza trascinante dell’ideologia, e non c’è nemmeno nella società spazio per la positività dell’utopia, o la politica moderata si lega a qualcosa che rilascia sul territorio oppure rischia di essere ritenuta, ancor più che inutile, dannosa. E c’è un’altra considerazione alla base della mia scelta di essere presente in tutte le Regioni italiane».

Quale?

«Una ragione che definirei di tipo economico. Siamo una forza politica che è nata e sta crescendo senza un euro di finanziamento pubblico. Le poche risorse che avevamo le abbiamo investite in una campagna di spot radiofonici e in un call center per far sentire la voce del partito vicina ai militanti. Visite in tutte le Regioni hanno consentito una mobilitazione spontanea dei mezzi di comunicazione di massa a livello locale. Ho fatto un conto: abbiamo mobilitato, magari per piccole dichiarazioni o per interviste più lunghe, circa 400 emittenti locali».

Che cosa ne ha dedotto?

«Ho trovato in giro un entusiasmo che non immaginavo. Mi sono rafforzato nell’idea che la parte che ama la politica, che la conosce, che la pratica a livello locale, insomma quella parte che è divenuta classe dirigente ha scelto in gran parte il Nuovo Centrodestra. Il nostro compito è quello di valorizzarla. Ed anche questo è un elemento di rottura rispetto al passato».