Qualche appunto per chi tirerà le somme della stagione berlusconiana
13 Settembre 2011
E’ ancora troppo presto per “storicizzare” la lunga stagione berlusconiana sia perché l’orso, per quanto ferito e braccato, non è ancora stato abbattuto, sia perché la violenza delle passioni che essa ha suscitato non consentirà a lungo una sua lettura equanime ed in qualche misura condivisa. Si può conservare invece qualche testimonianza sincera, che possa essere utile agli storici di domani.
Di Berlusconi, oltre al gossip, si dirà certamente che non ha mantenuto la sua promessa originaria, ossia una società più libera e prospera in uno Stato meno oppressivo e più efficiente: quella “rivoluzione liberale” che oggi drammaticamente si ripropone come unica alternativa al declino. Ciò non è del tutto vero ed ha comunque molte attenuanti.
Importanti – pur se insufficienti – pezzi di tale rivoluzione, emblemi dei valori fondamentali del liberalismo, sono stati attuati o avviati: la detassazione della “prima casa”, con la conseguente riconsacrazione del diritto di proprietà; la flessibilizzazione del mercato del lavoro, alias riscoperta dei fondamentali dell’economia di mercato; la sfida al sessantottismo nelle politiche scolastiche, nel segno della rivincita del merito; il 5 per mille a favore del volontariato, che ha rimesso al centro una concezione non statalista dell’assistenza; la forte semplificazione delle procedure per l’edilizia, volàno prezioso dell’intera economia; la messa in equilibrio del sistema previdenziale, che pur necessita di altri aggiustamenti. E non era forse il sogno dei riformisti un sistema politico bipolare fondato sulla scelta popolare del leader, effetto innegabile del berlusconismo? Altre innovazioni epocali, poi, sono state stoppate, come la grande Riforma istituzionale del premierato e il superamento del bicameralismo perfetto, bloccati dal successivo Referendum, o la riduzione delle aliquote fiscali e la revisione dell’ordinamento giudiziario, invertite dal governo di centrosinistra.
Per non parlare della evidente rivoluzione berlusconiana del linguaggio e degli obiettivi della politica: evitare – finché possibile – di mettere “le mani nelle tasche degli Italiani”, preferendo suscitare le ire dei destinatari dei “tagli” alla spesa , è altra cosa che proclamare “bellissime” le tasse ed accrescerle. Come, del resto, la cultura autenticamente progressista del “fare” è l’opposto di quella oscurantista del “no” a tutto e al contrario di tutto. Allo stesso modo, immaginare una società liberata dalla povertà è antitetico al piacere di far “piangere i ricchi”.
Ciò detto, non può negarsi che Berlusconi si sia dovuto misurare con condizioni eccezionalmente avverse. Nel 2001 si era appena insediato che gli sono crollate addosso le “Torri Gemelle”, con la recessione e tutto ciò che ne è conseguito. Nel 2008, appena tornato al governo, si è dovuto misurare con la più pesante crisi economica mondiale dal 1929, che lo ha anche costretto a cambiare il segno del suo mandato in direzione di un oneroso assistenzialismo, mentre anche gli Stati più liberisti si riparavano sotto un miope ritorno di statalismo i cui costi stiamo tutti adesso pesantemente scontando, a partire dall’economia statunitense. Alla guida del governo, già nel 2001, si era trovato con la Riforma del Titolo V della Costituzione, che ha svuotato governo e Parlamento della stragrande maggioranza delle competenze, pronta ad accoglierlo. E non c’è stato giorno in cui gli sia stata risparmiata l’immancabile aggressione mediatico-giudiziaria, in un trattamento feroce ed implacabile che non poteva non stroncare anche la tempra più solida ed inattaccabile. Tutto questo in una condizione di assoluta solitudine, con una formidabile coalizione di tutti gli altri poteri contro di lui sotto la spinta implacabile del giustizialismo, fattori che non sono bastati nemmeno quattro grandi successi elettorali consecutivi a scalfire, finché non hanno inevitabilmente sfondato.
Tutto questo va ricordato a futura memoria di un’occasione forse irripetibile di far ripartire l’Italia. Della cui parziale perdita una storia equanime saprà chiamare a rispondere chi l’Italia, invece, l’ha rovinata molto prima dell’avvento di Berlusconi e ne ha consapevolmente boicottato l’opera.