Quali conseguenze dopo l’ultimo sgarro di Obama a Israele

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Quali conseguenze dopo l’ultimo sgarro di Obama a Israele

27 Dicembre 2016

Si è già scritto quasi tutto sull’ultimo colpo di coda del presidente Barack Hussein Obama, il voto in consiglio di sicurezza alle Nazioni Unite che grazie all’astensione degli Usa ha condannato come “illegali” gli insediamenti di Israele nei territori contesi con i palestinesi, confermando la scellerata decisione dell’Unesco di qualche mese fa che definì i luoghi sacri agli ebrei e ai cristiani di Gerusalemme come terra islamica.

L’agguato al Palazzo di Vetro sarebbe stato preparato segretamente dagli Usa, come denuncia la diplomazia israeliana, e spazza via decenni di “relazione speciale” tra America e Israele, tornando a più di trenta anni fa, quando alla Casa Bianca sedeva un altro presidente ostile allo Stato ebraico, il democratico Jimmy Carter. Abbiamo letto della reazione durissima del premier israeliano Netanyahu, che ha subito gelato i rapporti diplomatici con i Paesi che hanno votato sì alla risoluzione, annullando visite e incontri internazionali; ascoltato la reazione del presidente eletto Donald Trump, che ha definito l’Onu un posto dove la gente va a perdere tempo e a divertirsi, e quella dei palestinesi, della corrotta autorità di Abu Mazen e dei terroristi di Hamas, che adesso rilanciano chiedendo alla sedicente “comunità internazionale” di fermare la “occupazione israeliana”. 

Ma quello che bisogna capire è quali saranno le conseguenze della risoluzione Onu. E’ vero che gli Usa hanno sempre criticato la politica degli insediamenti di Israele ma Washington non aveva mai messo così apertamente in discussione la presenza degli ebrei nei territori: mancano venti giorni alla scadenza del mandato di Hussein, dobbiamo aspettarci qualche altro sgambetto anti-israeliano del suo segretario di Stato Kerry? All’orizzonte si profila la nuova pomposa conferenza di Pace di Parigi, dopo quella, l’ennesima e fallimentare, organizzata nella capitale francese con gli stati arabi: il presidente Hollande che si prepara a uscire ignominiosamente di scena come il suo omologo americano troverà anche lui un modo per pestare i piedi a Israele?

E ancora: le corti penali internazionali ora potranno incriminare più facilmente ebrei e autorità israeliane che vivono nei territori? Il movimento per il boicottaggio di Israele dietro cui si cela il malcelato antisemitismo che serpeggia a livello internazionale rialzerà la testa dopo che negli ultimi tempi sembrava aver perso terreno? Tutte cose probabili, in una escalation politica, diplomatica ed economica che come sempre tende a isolare Israele.

La risoluzione Onu è destinata ad aumentare l’intransigenza dei palestinesi e il loro continuo rifiutarsi di negoziare direttamente con Israele. Come pure si può prevedere che le autorità ebraiche di Gerusalemme, nonostante Netanyahu durante il lungo braccio di ferro di questi anni con Obama abbia contenuto la politica degli insediamenti, dopo il voto del Consiglio, e sotto pressione della destra israeliana, diano il via al previsto piano per la costruzione di nuove case nella parte Est della città.

Sta di fatto che il processo di pace, la trita formula “due popoli due stati”, ormai è alla frutta: il premio nobel Obambi verrà ricordato se mai come il ‘killer’ della pace tra israeliani e palestinesi. Ricordiamo brevemente ai nostri lettori che gli avversari di Israele sostengono che gli insediamenti sono illegali perché non rispondono ai ‘confini’ usciti dall’armistizio del 1948, se non fosse che quelle linee di demarcazione furono violate per primi proprio dagli Stati arabi, Egitto, Siria, Giordania, palestinesi compresi, che nel 1967 si preparavano ad aggredire Israele ma furono sbaragliati dall’esercito di Davide durante la Guerra dei sei giorni. In ogni caso anche i ‘confini’ precedenti alla guerra del ‘67 non sono stati riconosciuti pienamente come tali, sono linee di demarcazione che riflettono le posizioni di Israele e degli Stati arabi dopo il cessate il fuoco del ’48.

Tornando alle conseguenze della risoluzione Onu, si può dire che Obambi, in nome del suo proverbiale narcisismo e dell’antipatia che ha sempre nutrito verso Netanyahu, un politico che non si è mai piegato ai dogmi del politicamente corretto, ha deciso di complicare la vita al suo successore, Trump, mettendo in crisi la relazione speciale tra Usa e Israele; se non fosse che il presidente democratico non aveva più la piena responsabilità istituzionale per farlo, visto che i democratici hanno perso malamente le elezioni e il prossimo 20 gennaio il suo mandato sarà scaduto. Obambi ha pensato unicamente al proprio tornaconto personale, alle conferenze strapagate che probabilmente terrà in futuro in giro per il mondo parlando di “pace”, invece di rendere conto delle sue scelte davanti al popolo americano. 

Del resto a professare anche stavolta il ridicolo equilibrismo propugnato dall’amministrazione Usa uscente in tutti questi anni ci ha pensato lo speechwriter di Obama, quel Ben Rhodes che passerà alla storia per l’afflato poetico messo nell’ambiguo discorso pronunciato da Obama al Cairo nel 2009, “A New Beginning”, il nuovo inizio, ovvero il fallimento delle primavere arabe, il capitolo più negativo della strategia obamiana, che dall’accordo con l’Iran nucleare (Paese che ha sempre minacciato di cancellare Israele dalle cartine geografiche), fino agli incubi prodotti dalle “arab spring” in Siria e Libia, in dieci anni al potere ci ha consegnato solo un mondo più instabile. Aspettando Trump, e il nuovo ambasciatore americano in Israele che ha già fatto sapere che sposterà la sede diplomatica da Tel Aviv a Gerusalemme. Con buona pace di Obama.