Quali e quanti sono i rischi per la donna se per abortire basta un clic

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Quali e quanti sono i rischi per la donna se per abortire basta un clic

08 Agosto 2008

Dopo lo scoppio del caso Eluana si torna a parlare di biopolitica e di temi eticamente rilevanti, di vita, di morte, di aborto e del diritto di decidere per la sopravvivenza degli altri, che siano questi persone attaccate ad una macchina, dipendenti dall’alimentazione e dall’idratazione artificiali o feti.

Se il caso di Eluana Englaro ha riacceso i riflettori sull’eutanasia, l’occhio di bue sull’aborto è stato puntato dalla stampa che ha riportato la notizia che, nonostante in Italia, oltre che in Portogallo e in Grecia, sia illegale la vendita della pillola abortiva RU486, anche le donne italiane possono interrompere una gravidanza senza entrare in ospedale ma semplicemente con un clic.

Basta infatti ordinare le pillole su internet e la normativa nazionale è aggirata. Il sito internet womnonweb.org fornisce la possibilità di acquistare il farmaco altrimenti proibito dando così il via, anche nei Paesi con leggi più restrittive in materia, alla pratica dell’aborto fai-da-te, con tutti i rischi che questo comporta.

 

Rischi ma anche violazioni di legge. Vediamo quali. Sul sito in cui viene commercializzata la pillola abortiva si legge che il blister è spedito con pacco postale solo alle donne che dichiarano di essere in gravidanza da meno di nove settimane. Questo pone una serie di problemi di ordine etico, giuridico e morale: inutile evidenziare il fatto che la donna incinta può dichiarare quel che vuole senza che il mittente possa verificare le veridicità delle sue affermazioni, ma è bene riflettere sul fatto che spesso la donna non ha una precisa cognizione del momento in cui è rimasta incinta. Inoltre, non tutti i Paesi riconoscono la liceità dell’aborto entro la nona settimana, fatto che espone le donne destinatarie dell’ingombrante pacco postale al rischio di agire in violazione della legge.

 

L’allarme lo ha lanciato la Bbc: le donne della cattolicissima Irlanda insieme a quelle di altri 70 nazioni tra cui l’Italia possono comprare sul web la RU 486 con la stessa facilità con cui si può acquistare un cd o un paio di scarpe. Sembra che sia stata sottovalutata la pericolosità del farmaco che, è bene ricordarlo, è cosa altra rispetto alla contraccezione.  Il rapporto stilato da una rivista britannica per ostetricia e ginecologia, infatti, ha rivelato che quasi l’11% delle donne che hanno assunto il farmaco, se di farmaco e di farmacia stiamo parlando, ha dovuto sottoporsi ad un intervento chirurgico o perché la pillola non ha portato a termine l’aborto o a causa di una emorragia.

 

Tutti rischi che fingono di ignorare i sostenitori della Ru486. Per questi l’obiettivo della commercializzazione del "farmaco" è quello di "demedicalizzare", togliere l’aborto il più possibile dalla competenza e dall’influenza di un medico per trasformarlo in un fatto privato e personale, quasi a spogliare l’atto dell’armatura della sua drammaticità, per lenire il dolore ed alleviare la tristezza. Rendere il fatto meno ufficiale, senza camice né bisturi, perché la coscienza possa liberarsi poco dopo di un peso che altrimenti potrebbe appesantire troppo chi non ha colto a dovere la differenza tra sessualità e procreazione e ha deciso, tardi, che non è ancora ora o non ci sono le condizioni per avere un bambino.

 

La storia della Ru 486 inizia nel 1982, quando il professor Etienne-Emile Baulieu presentò all’accademia delle scienze i risultati clinici di una nuova sostanza anti-progesterone, un anti-ormone che permette di abortire tra la sesta e l’ottava settimana di gravidanza: il mifepristone. Nel 1988 il farmaco viene commercializzato in Francia, nel 1991 la vendita è autorizzata in Gran Bretagna, un anno dopo in Svezia. Oggi è distribuita anche in Spagna, Olanda, Germania, Austria, Danimarca, Finlandia e Belgio. In Norvegia, Lussemburgo e Grecia invece la discussione sulla liceità della commercializzazione è ancora in corso mentre in Italia, Irlanda e Portogallo la pillola abortiva non è mai stata registrata.

 

L’Europa dis-unita dunque non abbraccia unanime l’idea dell’aborto in casa. Il nostro Paese – in cui l’aborto è legale ormai da 30 anni e fu introdotto sotto le grida delle "streghe tornate" a rivendicare i diritti delle donne in un periodo in cui era comune la pratica degli aborti clandestini  – in passato è stato solo sfiorato dal rischio di seguire l’Europa che ha già commercializzato la RU 486. Il primo Comitato Etico ad avviare la sperimentazione è stato quello del Piemonte che nel 2002 avviò il progetto che però fu subito bloccato dall’allora ministro della Salute Girolamo Sirchia. Nel 2005 la sperimentazione riparte in Liguria, Toscana ed Emilia-Romagna. Ma in Italia, forse anche grazie all’intervento di Benedetto XVI che ha invocato l’obiezione di coscienza da parte dei farmacisti per impedire la distribuzione del prodotto, il ministero della Salute ha bloccato la procedura di mutuo riconoscimento che avrebbe permesso la registrazione del farmaco. L’Italia conserva una certa reticenza ad accettare l’idea di prendere alla leggera l’aborto relegato a una questione stretta dentro le mura domestiche. Le reazioni del mondo politico non si sono fate attendere.

 

La "pillola della discordia" fa inorridire Assuntina Morresi, docente di Chimica all’Università di Perugia e membro del Comitato di bioetica, che nel 2006 ha pubblicato con Eugenia Roccella un libro dal titolo "La favola dell’aborto facile. Miti e realtà delle pillola Ru 486" (Franco Angeli editore). Morresi se la prende con chi chiama questa pratica "aborto facile": "La RU 486 espone la donna che l’assume a grandissimi rischi per la salute. Chi decide di abortire in casa deve capire da sola se le perdite sono normali o se è in corso un’emorragia. L’aborto può durare fino a 15 giorni in cui la donna ha nausea, vomito, infezioni, crampi, allergie, febbre, complicazioni cardiache e respiratorie e dunque non conduce affatto una vita normale come si vuole far credere. Per di più senza sapere quando espellerà il feto. Questo è aborto facile? Chi abortirebbe così? Non ho parole adeguate per commentare". Nel suo libro invita a riflettere su quanto l’aborto chimico sia più traumatico e doloroso sotto diversi profili rispetto a quello medico. Le due autrici intendono portare all’attenzione del lettore il fallimento che la RU 486 rappresenta: se infatti è apparsa come simbolo di libertà femminile e di progresso, nella pratica crea un vuoto di solitudine intorno alla donna che subisce l’aborto e scarica su di lei molte responsabilità sollevando i medici e gli ospedali da molti problemi.

 

Morresi sottolinea il fatto che ci sono altri metodi per interrompere una gravidanza, più sicuri e monitorati da medici: "L’aspirazione ad esempio dura solo pochi minuti". Sul commercio via internet della pillola abortiva la docente non usa mezzi termini: "E’ terribile. Chi lo fa dovrebbe essere denunciato. Sono pazzi, criminali che andrebbero perseguiti". Intanto nessuna azienda italiana è intenzionata a distribuire la RU 486.