Quando al centro si fanno arroganti

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Quando al centro si fanno arroganti

16 Gennaio 2012

Per quattro lunghi lustri, la lucrosa fantasia di un odioso manipolo si è scatenata nel proiettare, sull’accogliente schermo della credulità dei più, l’orrido suggere la linfa vitale del Paese da parte di instancabili proboscidi, sapientemente posizionate, a milioni, lungo arroganti e diffusi e goderecci tentacoli arcoriani. Epperò, anche adesso che il borioso inciampo sulla via del compimento democratico nazionale è stato rimosso, non possiamo smettere di interrogarci sulla misteriosa origine del perdurante senso di frustrazione che ci è, oramai da tempo, fedele compagno.

Già, perché, nonostante tutto, non riusciamo a dimenticare la violenta (a tratti grottesca) campagna persecutoria che un numero di magistrati ha condotto, fino a poche settimane fa, contro le legittime e reiterate manifestazioni di volontà popolare emerse, per due decenni di democratiche urne, a favore di Silvio Berlusconi. Saremmo realmente tentati di attribuire ad arroganza, la più sfrontata, questo lungo episodio di insofferenza togata.

Poi c’è quell’altra cosa dello sconsiderato comportamento della terza carica dello Stato che, in totale sprezzo della previsione costituzionale, sceglie di affondare il prestigio dell’alto suo scranno nella melma di ciechi rancori personali, arrivando, in evidente delirio di onnipotenza, all’aperta tresca antigovernativa. Davvero ci pare evidente, anche in questo caso, il ricorso a massicce dosi di plateale tracotanza e genuina.

Alla lista delle cupe manifestazioni di istituzionale autoreferenzialità, ci sentiamo di aggiungere anche il recente insediamento (dopo duratura ed appartata cova da parte del custode designato della Carta più importante) di un governo altro da quello indicato dal verdetto popolare. Esecutivo di inseguimento, sembrerebbe di poterlo definire. Della Germania, innanzitutto e della Francia poi, che, ad un passo dal baratro, continua a sfoggiare, vanesia, muscoli mai avuti. Forse, data la particolare natura della compagine (che si è voluta, come detto, gregaria) sarebbe stato meglio sottoporne la trista anima da brutto anatroccolo (senza speranza di futuri biancori) al vaglio popolare, ché forse, tra il dannoso ed inutile salasso per il compiacimento di galli e alemanni e il corposo taglio di spese notoriamente ridondanti, la strada scelta non sarebbe stata la prima. E così, rieccola affacciarsi ancora, ghignante ed altezzosa, la patologia dell’animo che ci sta occupando.

A quanto pare, il gusto per l’arrogarsi (quello scoperto, ovvio, ché quello strisciante data da sempre) ha smesso di essere prerogativa dei più prestigiosi poteri repubblicani ed ha cominciato ad attizzare anche le seconde e terze linee del pubblico servizio. Ed è così che i vertici di una agenzia statale, il cui solo nome è già un programma, decidono di trasformare, a sorpresa, la loro noiosa routine in gagliarda rappresentazione teatrale. I flash sono garantiti, così come le comparsate televisive domenicali concesse in premio ad oscure dipendenti. Se agli italiani viene in mente di chiedere conto dell’effettiva necessità dei ruvidi blitz (che pure equi saranno, ma parecchio fastidiosi al solo rimirarli da lontano), la risposta è, in pratica, un minaccioso: “così sapete cosa vi può capitare”. Insomma, parrebbe qui di poter nuovamente sentire, come sopra, il gusto amaro della più scoperta sfrontatezza.

Dal fastidioso debordante pubblico a quello semi privato. Che pensare di quel neo ministro che si fa beffe dei delicatissimi confini programmatici fissati per il gabinetto borderline di cui fa parte, intestardendosi nel dichiarare irrinunciabile provvedimento la cittadinanza ai figli degli immigrati? A proposito, ci sentiremmo di osservare, in totale umiltà, come il bene sia da mai lineare e che dosi marginali di esso possano finire con il portare a decrementi, anche marcati, della felicità generale (che è come dire che la bontà non è merce da supermercato ed a fornirla in dosi industriali, com’è, ad esempio, per i moderni sistemi di welfare, ci si trova, prima o poi, nel bel mezzo di una cupa crisi depressiva). Ci sembra, addirittura, di essere confortati, in siffatte considerazioni, da un sapere antico. Ma il delicatissimo palato etico dell’intelligenza nazionale sa ben riconoscerlo, quando lo incontra, il sapore del buono autentico e non abbisogna certo del suggerire non richiesto di volgari papille e popolari. Sa pure che l’alto scegliere, per tutti, le pietanze della letizia vale certo un peccatuccio di alterigia.

Ma tutto ciò sembra ancora poca cosa, se confrontato con lo sfacciato sfoggio di generose e maldiviane pinguitudini, fragorose pernacchie natalizie rivolte agli accorati appelli al sacrificio lanciati, attraverso condiscendenti microfoni di regime, fin davanti ai cancelli di Fiumicino (e non se ne fa una questione di legittimità, ovviamente, ma di opportunità).

Insomma, mai, fino ad ora, avevamo assistito ad un tale scorrere di baldante e manifesta arroganza. E, certo, questa cosa non ci lascia indifferenti, né, per la verità, tranquilli. Perché saremmo pure quelli della strada, ma abbiamo idee ben precise su cosa dobbiamo aspettarci da chi maneggia, per nostro conto, il potere (od ambisce, più o meno bislaccamente) a farlo. Di sicuro, non ci piace essere presi per i fondelli.