Quando Cina e India si incontrano il resto del mondo sta a guardare
05 Gennaio 2011
Quando Cina e India si incontrano il mondo sta a guardare. Mentre l’Occidente tenta faticosamente di venir fuori dalla crisi, le economie dei due Paesi continuano a crescere a ritmi sostenuti. Ma i due giganti asiatici sono ormai anche due pesi massimi della diplomazia internazionale. L’evoluzione dei rapporti tra questi due stati-continenti con una popolazione totale di quasi tre miliardi di persone potrà avere conseguenze decisive sull’asseto dell’area che va dal Medioriente al Pacifico, passando per l’Asia centrale.
Il mese scorso il premier cinese Wen Jiabao è volato a in India per un viaggio di tre giorni. Alla presenza di 400 businessman sono stati firmati 45 accordi per 20 miliardi di dollari. Wen e il suo omologo indiano Manmohan Singh vogliono portare gli scambi commerciali a 100 miliardi di dollari entro il 2015. Da pochi anni i due Paesi hanno molto rafforzato i rapporti economici, prima frenati dalla tradizionale rivalità e dai molti contrasti. Anche questa volta sono stati evitati con cura i punti di attrito, che pure non mancano. I due colossi asiatici appaiono interessati soprattutto allo sviluppo economico, per il quale possono marciare affiancati, anche nei confronti dei Paesi occidentali.
L’India ha anche incassato l’appoggio di Wen alla richiesta di un seggio permanente nel Consiglio di sicurezza. Non risulta, invece, che Wen e Singh abbiano affrontato le molte questioni sulle quali ci sono contrasti, dai confini, all’utilizzo dell’acqua del fiume Brahmaputra che nasce in Cina e poi attraversa tutta l’India. I due Paesi ancora discutono gli esatti confini nella zona Himalayana dell’Arunachal Pradesh, presidiati dai rispettivi eserciti. L’India ritiene, senza dichiararlo ufficialmente, che ci sia la mano dell’”ex impero di mezzo” dietro gruppi ribelli maoisti molto attivi nel Bihar e in diversi altri stati indiani. Pechino rimprovera a New Delhi di dare accoglienza ai profughi tibetani in esilio, che nel Tibet indiano hanno stabilito la loro rappresentanza.
Nessun riferimento neppure agli stretti rapporti che gli eredi di Mao intrattengono con il Pakistan, tradizionale antagonista dell’India, con il quale ha combattuto tre guerre e ha ancora aperta la contesa sulla regione del Kashmir. La Cina è uno dei principali fornitori militari del Pakistan, al quale cede armamenti e tecnologia senza porre condizioni sull’utilizzo.
Certamente agli indiani avrà lasciato l’amaro in bocca sapere che subito dopo la tappa di New Delhi la delegazione cinese sia volata ad Islamabad. Anche qui sono stati firmati numerosi accordi commerciali. Pechino ha già realizzato nel Punjab pakistano un reattore da 300 megawatt e ne ha in progetto un altro, ma discute anche la realizzazione di un reattore gigante, per fornire energia per fini civili. Cosa che ha suscitato il commento Usa che simile opere dovrebbero prima essere approvate dai 46 Paesi del Gruppo dei fornitori nucleari, non potendo esserci una diffusione incontrollata della tecnologia nucleare. Ma i cinesi vanno oltre. Fonti dell’esercito pakistano hanno fatto sapere che Pechino venderà ad Islamabad anche sottomarini militari.
Se i rapporti sino-pakistani si fanno sempre più stretti, dall’altro lato si profila un asse tra India e Stati Uniti, proprio in funzione anti-cinese. L’accordo sul nucleare tra Washington e New Delhi firmato da George W. Bush, ma anche l’”investitura” che l’India ha ricevuto come baluardo contro l’espansionismo cinese in Asia meridionale e orientale è sempre più evidente. Lo stesso Barack Obama ha voluto lanciare diversi segnali in questa direzione. Durante il recente tour asiatico il presidente americano si è recato in India, Giappone, Corea del Sud ed Indonesia. Ha visitato quelle che lui stesso ha definito le nazioni che “indicano la via asiatica alla democrazia”. La Cina non è stata nominata in nessun discorso ufficiale. Anche negli Stati Uniti non si fa mistero di un’intesa che si sta consolidando sempre di più.
Non passa una solo settimana senza che i grandi giornali della East coast New York Times e Washington Post non pubblichino rivelazioni sulla riluttanza dell’Isi (i servizi segreti di Islmabad che hanno creato i talebani per combattere i sovietici) a dare la caccia ai terroristi islamici. La lobby indiana al Congresso è sempre più potente ed esercita pressioni sull’establishment politico affinché riduca il sostegno al Pakistan. E’ come se l’India avesse ereditato dall’Impero britannico la “special relationship” con gli americani.
Questo scenario ha scatenato i timori del Pakistan che teme di essere “scaricato” dalla Casa Bianca e potrebbe inasprire le tensioni tra indiani e cinesi. I leader pakistani sanno che il loro Paese ha bisogno del sostegno militare ed economico americano per evitare una disintegrazione territoriale su base etnica e non sprofondare nel caos. Secondo alcuni analisti, il Pakistan sta ricattando gli odiati vicini indiani con una “strategia della tensione” in cui la strage di Mumbai, ad opera di terroristi sostenuti dal Pakistan, ha rappresentato il punto più alto. Vale a dire che vogliono far capire agli indiani quanto può costare l’alleanza con Washington ed allo stesso tempo cercano di accreditarsi agli occhi degli americani come partner insostituibili nella lotta all’estremismo islamico.
Ma l’India deve inevitabilmente fare i conti con la crescente influenza cinese nel continente. A New Delhi considerano come un invasione la strategia del “filo di perle” attuata da Pechino. Vale a dire il rafforzamento delle relazioni politico-commerciali con i paesi della fascia costiera asiatica che va dal Mar Rosso fino all’Indocina per il controllo delle rotte commerciali e dell’approvvigionamento energetico. Il “filo di perle” costituisce per Pechino un’importante rete di punti d’appoggio portuali lungo la cruciale rotta commerciale che si snoda tra il Canale di Suez e lo Stretto di Malacca, attraverso la quale transita circa il 40% del commercio globale. I porti di Gwadar, nel Balochistan pakistano, gli scali di Hambantota nello Sri Lanka, di Akyab, Cheduba e Bassein in Myanmar, quello di Chittagong in Bangladesh, e l’avamposto realizzato su una delle isole Coco sono un vantaggio notevole per i cinesi nella corsa al controllo delle rotte marittime.
Combinando la sua visita a New Delhi con il suo viaggio ad Islamabad, Wen non fa che rafforzare i timori dell’India in merito al crescente legame strategico sino-pachistano. La Cina vede nel solidissimo appoggio al Pakistan la possibilità di giocare un ruolo da protagonista in Asia centrale e nella parte meridionale del continente. Le relazioni con l’Isi conferiscono a Pechino una certa influenza su quanto succede in Afghanistan e rappresenta una potenziale carta da giocare ella gestione dei rapporti con gli indiani. New Delhi è il primo partner commerciale del “paese dei monti” e ha solidi legami con il governo di Hamid Karzai proprio per contrastare l’influenza del Pakistan.
Tuttavia i due giganti asiatici hanno anche interessi coincidenti. Se l’India deve guardarsi dai gruppi terroristici che godono del sostegno pakistano, allo stesso tempo, la Cina teme l’infiltrazioni di gruppi terroristici islamici nello Xinjiang. Nessuno ci guadagnerebbe dalla vittoria dei talebani a Kabul o dall’implosione dello stato pakistano. L’India dovrà muoversi con molta cautela. Deve impedire di essere marginalizzata dalla crescente potenza cinese attraverso un solido legame con gli Stati Uniti ma deve anche muoversi in autonomia sullo scacchiere asiatico. Soprattutto bisogna considerare che ormai Usa e Cina sono legate da un rapporto economico di interdipendenza. L’India vuole rassicurazioni che la crisi che fiacca gli Stati Uniti e che rende indispensabile la potenza economica di Pechino non si traduca in una politica di accondiscendenza nei confronti della Cina a spese degli interessi indiani.