Quando Cossiga firmò un decreto di Martelli contro una sentenza

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Quando Cossiga firmò un decreto di Martelli contro una sentenza

07 Febbraio 2009

Nel lontano 1991 – ma la Costituzione vigente era la stessa, proprio la stessa – la supema Corte di Cassazione stabilì con sentenza, all’esito di tutti i relativi gradi di giudizio, che erano decorsi i termini massimi di custodia cautelare per una quarantina d’imputati per reati di mafia, e che quindi costoro dovessero essere scarcerati. Si badi bene: "imputati", non condannati, cioè, a norma di Costituzione, presunti non colpevoli. Inoltre, "termini massimi di custodia cautelare", cioè il periodo massimo in cui una persona può essere privata della libertà senza essere stata condannata definitivamente: per capirci, al tempo del fascismo questo termine non esisteva, quale che fosse la durata del processo.
 
Naturalmente, non si poteva permettere che quaranta pericolosi mafiosi tornassero in libertà. Era urgente e necessario intervenire. Ma come fare? L’aveva deciso una sentenza definitiva e irreformabile – un "giudicato" – della magistratura, nella sua massima espressione, la Cassazione! E le sentenze si eseguono, non si discutono, come tutti sanno. 
 
Ma il ministro della giustizia (Claudio Martelli) e il presidente del consiglio (Giulio Andreotti) di allora non ebbero esitazioni, non temettero nè la sentenza nè la costituzione: non potevano essere dei formalismi giuridici a impedire di tenere quei mafiosi là dove meritavano di stare, cioè in carcere. Un bel decreto legge, e il problema fu risolto. Il presidente della Repubblica, Francesco Cossiga, non rifiutò la sua firma, emanò il provvedimento "urgente e necessario" (e ad personas, aggiungo: si trattava di normare la posizione di quei singoli cittadini) adottato dal governo "sotto la sua responsabilità", e la sentenza della Cassazione (ripeto: un giudicato penale assolutamente irreformabile e intangibile) fu travolta, abbattuta, ridotta a nulla. Si parlò di "mandato di cattura per decreto legge". Cioè, fu il sovrano, non il giudice, a mandare in galera il cittadino, come usava e usa nei regimi totalitari. Il colpo inferto alla costituzione, alla separazione di poteri, all’autonomia e indipendenza della magistratura fu violentissimo, ma nessuno se ne dolse. La necessità e l’urgenza di tutelare beni di enorme rilevanza, ritenuti gravemente a rischio, fece aggio su ogni questione di rispetto formale dell’ordinamento.
 
Un decreto legge per salvare una vita umana – in un ambito in cui non s’è formato alcun giudicato, trattandosi di un caso di "volontaria giurisdizione"; in cui non si ordina, ma si consente; in cui la Cassazione non ha interpretato una norma, ma l’ha scritta, eccedendo i propri poteri (Francesco Gazzoni) – non avrebbe meritato la stessa considerazione, attesa anche la diversa e infinitamente superiore rilevanza del bene vita rispetto a quello sicurezza? Qual è la differenza signor presidente? Perchè stavolta il capo dello stato non ha emanato il decreto legge?