Quando i partiti di massa selezionavano la classe dirigente
21 Maggio 2020
La politica, si sa, è fatta di compromessi e di equilibri. E gli equilibri, il più delle volte, si rivelano precari perché si riferiscono quasi sempre al breve periodo, senza prendere in considerazione prospettive di medio o lungo termine. Eppure senza politica non si adottano soluzioni e provvedimenti utili per un paese, fermo restando che sono gli attori politici a determinare le scelte che andranno a ricadere sull’intera collettività.
Nel Novecento, in Italia e in tutta Europa, i grandi partiti di massa hanno svolto un ruolo centrale nel catalizzare le istanze di cambiamento che provenivano dal popolo: una volta intercettati i bisogni dei “sudditi”, i governanti cercavano di intervenire tempestivamente dando loro risposte. Le personalità alla guida di tali strutture partitiche erano di alto rilievo e la politica prevedeva passione, determinazione e coinvolgimento delle masse. Certo, l’assunzione delle decisioni più importanti era sempre riservata a pochi, ma queste decisioni erano frutto di concertazioni prolungate nel tempo, scontri, dialoghi e dibattiti serrati. Sempre all’interno di tali strutture poi era prevista la selezione della futura classe dirigente, grazie alla previsione di scuole di formazione politica destinate ai più giovani. Alla militanza giovanile veniva dato ampio rilievo e coloro che erano alle prime armi offrivano sovente spunti di intervento politico a chi già sedeva in Parlamento.
Oggi questo quadro si è totalmente modificato e assistiamo ad una crisi della politica partecipata secondo le tradizionali formule novecentesche. L’avvento di Internet e della Rete ha rivoluzionato di molto tale scenario e alle manifestazioni di piazza si preferiscono i forum o i dibattiti sui blog. Paradossalmente i giovani che stanno beneficiando (almeno così sembra) della rivoluzione derivante dall’uso del web, sono tagliati fuori dal processo politico decisionale e, anche se coinvolti marginalmente, non riescono a far pervenire la propria voce all’interno degli organismi istituzionali. I governanti sono lontani dai governati, con il risultato che l’antipolitica ha preso il posto della vera partecipazione. Le piazze (pandemia a parte) sono vuote e in pochi si interessano del dibattito pubblico. Eppure la politica determina ciò che saremo domani ma anche ciò che siamo oggi, e se non si interviene in questo processo, le decisioni pubbliche saranno solo subite e non già partecipate. Inutile poi lamentarsi della natura di provvedimenti di cui non si conosce neppure la genesi.
Tranne rare eccezioni, i partiti politici di oggi non concedono ampio spazio alla formazione della classe dirigente futura; puntano più che altro a “riciclare” le personalità che hanno al loro interno, senza davvero investire in un ricambio generazionale vero e proprio. Si tratta di un vulnus preoccupante poiché non ci si pone neppure il problema di formare i parlamentari di domani, mentre – come già detto – le personalità esistenti si ripropongono per ogni stagione. Tuttavia, non tutte le stagioni sono uguali: ogni momento storico è a sé e richiede per questo soggetti in grado di captarne i problemi e le difficoltà.
Chi siede da tanto tempo sui banchi del Parlamento deve comunque essere valorizzato perché può essere una guida e può fornire aiuto prezioso a chi verrà domani. Il problema è annullare del tutto il meccanismo di formazione dirigenziale perché fare questo vuol dire bruciare la possibilità di creare futuro e speranza. In una parola creare lavoro e opportunità. Per carità, non pretendiamo certo che da domani tutti i partiti dell’arco parlamentare mettano mano a questa esigenza impellente; tuttavia crediamo che lo spazio riservato ai giovani non debba essere annullato all’interno delle strutture partitiche bensì preservato. Solo in questo modo, la politica sarà portatrice degli interessi di tutti e non solo di una parte della popolazione.
La politica è infatti inclusione, non un affare per pochi intimi.