Quando in gioco c’è la competitività di un Paese

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Quando in gioco c’è la competitività di un Paese

09 Aprile 2007

Signor Presidente, sull’energia diamoci una mossa. Con una piccola forzatura, è questo il senso della lettera aperta spedita da Renato Angelo Ricci, a nome dell’associazione Galileo 2001 – Per la libertà e dignità della scienza, al capo dello Stato Giorgio Napolitano, e per conoscenza al premier Romano Prodi e alle altre cariche istituzionali competenti. La preoccupazione degli scienziati di Galileo 2001 muove dal modo acritico in cui è stata trattata l’adesione dell’Italia al protocollo di Kyoto, che impegna il paese a ridurre le emissioni di gas serra del 6,5 per cento al di sotto dei livelli del 1990. “Come cittadini e uomini di scienza – scrive Ricci – avvertiamo il dovere di rilevare che la tesi sottesa al Protocollo, cioè che sia in atto un processo di variazione del clima globale causato quasi esclusivamente dalle emissioni antropiche, è a nostro avviso non dimostrata, essendo l’entità del contributo antropico una questione ancora oggetto di studio”. Ma anche dando per buone le teorie più catastrofiste sul riscaldamento globale, anzi: proprio se si crede che il pianeta sia sull’orlo della crisi ecologica, le soluzioni vanno attentamente meditate e valutate in base alla loro fattibilità economica e tecnologica.

Purtroppo, quest’ultimo passaggio sembra essere stato bellamente ignorato. Tanto che le proposte che si sono susseguite, o stratificate, paiono del tutto irrealistiche. Ricci evidenzia come biocarburanti, torri eoliche ed energia solare siano inadeguati a rispondere a una domanda energetica crescente, e non solo per una questione di costi. I biocarburanti richiedono un uso estensivo dei terreni, e vi sono dubbi sul loro effettivo bilancio energetico (cioè, la loro produzione potrebbe consumare più energia di quella che poi effettivamente restituiscono). Anche eolico e solare hanno un rilevante impatto ambientale – dovuto all’estensione degli spazi di cui hanno bisogno – ma sono anche soggetti a un grado di aleatorietà incompatibile con una moderna società industriale (cioè, non necessariamente il sole splende o il vento soffia proprio quando le luci devono stare accese). L’unica via d’uscita può essere il nucleare: nel senso che si tratta dell’unica fonte di energia a emissioni virtualmente nulle ed economicamente competitiva, ma l’atomo si scontra con veti ideologici di ogni tipo. Eppure, “per sostituire il 50 per cento della produzione elettrica nazionale da fonti fossili basterebbe installare 10 reattori del tipo di quelli attualmente in costruzione in Francia o in Finlandia, con un investimento complessivo inferiore a 35 miliardi di euro. Avere 10 reattori nucleari ci metterebbe in linea con gli altri Paesi in Europa (la Svizzera ne ha 5, la Spagna 9, la Svezia 11, la Germania 17, la Gran Bretagna 27, la Francia 58) e consentirebbe all’Italia di produrre da fonte nucleare una quota del proprio fabbisogno elettrico pari alla media europea (circa 30 per cento)”.

La questione sollevata da Galileo 2001 è fondamentale: la situazione in cui si trova oggi l’Italia è infatti paradossale. Da un lato il paese ha assunto un impegno che, evidentemente, non sarà in grado di mantenere (e le sanzioni europee incombono: sarà curioso vedere come verranno giustificate, quando arriveranno, e soprattutto come verranno pagate). Dall’altro, il governo è in prima fila, a Bruxelles, nel chiedere obiettivi sempre più stringenti e sempre meno realistici. E tutto ciò non avendo, perché non li si vuole, gli strumenti per riequilibrare il nostro mix di combustibili. Al danno si aggiunge la beffa: gli stessi che sono in prima fila a rifiutare il nucleare, combattere il carbone, manifestare contro i rigassificatori, intonano sistematicamente il ritornello della diversificazione delle fonti di energia e della sicurezza energetica, che – se le parole hanno un senso – presuppongono proprio quelle tecnologie e quelle infrastrutture che non si intende neppure prendere in considerazione.

Potrebbe sembrare una barzelletta, se in gioco non ci fosse la competitività del paese e, ancora più importante, il concreto rischio per gli italiani di andare incontro a un periodo di maggiore instabilità energetica. Che vuol dire restare al buio e al freddo.