Quando la tutela di un diritto può diventare un sopruso

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Quando la tutela di un diritto può diventare un sopruso

Quando la tutela di un diritto può diventare un sopruso

16 Luglio 2021

Nel pieno del dibattito politico sul DDL Zan si rende ancor più necessario affrontare il tema della tutela dei diritti della cosiddetta “maggioranza” e di come evitare che la tutela delle “minoranze” possa diventare un sopruso nei confronti di chi non appartiene a dette minoranze. Tra le varie questioni dibattute in questo periodo ve ne è una al quanto particolare, che però può rappresentare un vero campanello di allarme.

Da diversi mesi, in previsione delle ormai prossime olimpiadi di Tokyo 2021, infatti, aumentano i casi riportati dai media di atleti transgender che primeggiano nelle categorie femminili. Tra i tanti spicca quello della qualificazione della sollevatrice Laurel Hubbard alle prossime olimpiadi di Tokyo.

Laurel Hubbard, sollevatrice neozelandese, ha 43 anni e potrebbe diventare la prima atleta transgender nella storia delle Olimpiadi. Hubbard, figlia dell’ex sindaco di Auckland Dick Hubbard, aveva già gareggiato, prima del suo percorso di transizione, nelle categorie maschili senza particolari successi. Successivamente, dopo aver concluso il suo percorso di transizione, ha mietuto diversi successi fino a quando ha avuto la possibilità di qualificarsi alle Olimpiadi. Il Comitato olimpico internazionale, fin dal 2015, ha stabilito le linee guida per la partecipazione alle categorie maschili e femminili, rimuovendo l’obbligo dell’intervento chirurgico e delle terapie ormonali. Da allora, le atlete transgender possono competere nelle categorie femminili se hanno avuto livelli di testosterone nel sangue inferiori a 10 nanomoli per litro nei dodici mesi precedenti alla competizione.

Altra atleta transgender è Craig «Cece» Telfer , che nel 2019 è risultata vincitrice di una medaglia nei 400 metri a ostacoli nella National Collegiate Athletic Association. In precedenza, come uomo, aveva raggiunto risultati abbastanza deludenti: nel 2016, il suo miglior piazzamento a livello nazionale era stato il 200esimo e, nel 2017, il 390esimo. Nel 2018, dopo il suo percorso di transizione, arrivano i primi successi.

Il caso però che ha fatto più discutere è forse quello di Fallon Fox, transgender lottatore nelle gare di arti marziali miste (Mma) femminili. Nell’ultimo incontro disputato contro Ericka «Pitbull» Newsome, veterana della Mma, quest’ultima ha riportato danni permanenti alla testa in seguito al combattimento, finito per ko e durato soli 39 secondi.

Tutti questi esempi portano il discorso sempre allo stesso punto: “E’ lecita la tutela dei diritti che comportano automaticamente la soppressione di altrui diritti?”. Per assurdo, ma non tanto, la tutela dei diritti degli atleti transgender porterà ad eliminare il diritto delle donne a competere in maniera equa nello sport? In futuro quale atleta nata femmina si sottoporrà ad estenuanti allenamenti, per anni e anni, sapendo di essere quasi battuta in partenza dovendosi confrontare con altre atlete che geneticamente hanno un notevole vantaggio?

Attualmente non esiste una normativa nazionale o sportiva univoca e, pertanto, il “contrasto” tra le tutele dei diritti sta provocando prese di posizione alquanto disparate.

Nel mondo dello sport, già nel 2019, Martina Navratilova ha dichiarato di essere assolutamente contraria a far partecipare atlete transgender nelle competizioni femminili, sottolineando il vantaggio genetico degli atleti nati uomini. Tra l’altro anche la politica da tempo sta affrontando il problema anche se in maniera un po’ caotica. Basti pensare alla situazione negli Stati Uniti, dove alcuni stati vietano agli atleti transgender di partecipare alle competizioni mentre in altri è liberamente concesso. Tra l’altro, ha sollevato forti perplessità l’ordine esecutivo firmato dal neo presidente degli Stati Uniti Joe Biden che prevede la completa inclusione delle atlete transgender: ogni istituzione scolastica che riceve finanziamenti pubblici deve consentire a studenti biologicamente maschi che si identificano come femmine di poter entrare nei gruppi sportivi femminili.

La cosa che colpisce in modo particolare è che se oggi ci vogliono imporre una disparità di “generi”, andando oltre alla tradizionale visione di uomo/donna, non si comprende perché, almeno nello sport, non si possano creare diverse categorie di genere e far partecipare alle competizioni atleti che hanno un comune denominatore.

Si potrebbero distinguere le categorie in maschile, femminile, trans maschio/femmina, trans femmina/maschio, trans maschio/femmina/maschio e tutto quello che “la tutela dei diritti” (sic!) può consentire senza però doversi ritrovare a favorire una categoria a scapito di un’altra. Certo, però, che questa soluzione andrebbe a urtare psicologicamente nei confronti di quegli atleti che, in maniera convinta, si sentono di appartenere ad un sesso diverso rispetto a quello di nascita. Quindi si torna al punto di partenza. E’ più giusto tutelare il diritto della persona che trova il suo appagamento psicologico nel cambio di sesso, concedendole la libertà di gareggiare con le persone del sesso dichiarato o è più giusto tutelare le persone che nascono e muoiono con le stesso sesso e che, non per questo, si devono trovare in una posizione di svantaggio rispetto a chi chiede una propria tutela? Basterà seguire la strada attualmente messa in campo dal CONI cercando di riportare il livello di testosterone delle transessuali in linea con i parametri femminili e così, di fatto, azzerando ogni presunto vantaggio?

Di certo i pregiudizi da abbattere saranno molti e sarà sicuramente più difficile farlo fin quando non si troverà il modo di nascondere e neutralizzare ciò che invece la natura ha creato in un corpo. Perché, e non dimentichiamolo, il processo di transizione è in ogni caso un processo non naturale e per il quale si ha bisogno di trattamenti medici e chirurgici notevolmente invasivi.