Quando Papini, Prezzolini e Soffici si ritrovavano alla corte di Vallecchi

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Quando Papini, Prezzolini e Soffici si ritrovavano alla corte di Vallecchi

29 Marzo 2009

Nei primi anni del secolo scorso girano per Firenze tre personaggi che sono, nonostante la “tenera” età, delle star nel panorama intellettuale nostrano. Hanno fra i venti e i trent’anni, sono giovani e geniali. Si chiamano Giovanni Papini (per Giampiero Mughini, “una specie di sessantottino che digrignava i denti e diceva male di tutti”), Ardengo Soffici e Giuseppe Prezzolini. I primi due (Prezzolini nel 1908 ha fondato e dirige La Voce) hanno in mente la pubblicazione di una rivista a lungo progettata, Lacerba.

Siamo alla fine del 1912. I soldi scarseggiano, la coppia vuole risparmiare e cerca così uno stampatore che faccia loro il prezzo più conveniente. In via Nazionale c’è un bugigattolo nel quale lavora “qualcosa di mezzo fra l’operaio emancipato e il poeta romantico”, ricorderà successivamente Papini. Si chiama Attilio Vallecchi. Nasce da quel momento un sodalizio che renderà Firenze la tappa obbligata dell’intellighenzia nazionale. Vero è che un po’ più su, a Milano, c’è Filippo Tommaso Marinetti che con la sua truppa futurista ha mandato a gambe per aria tante radicate mode letterarie, pittoriche, musicali, arrivando persino a mettere il becco in fatto di arte culinaria. Epperò, dopo l’iniziale diffidenza, i due gruppi si saldano, convivono, collaborano.

Lacerba è un prodotto corsaro, fuori dagli schemi, innovativo. Vende ventimila copie a numero nel primo anno. Poi il successo scema, si corrode, declina. Nel frattempo, il tipografo Vallecchi comincia a stampare anche alcuni libri con la sigla “Lacerba” e lentamente si avvia a diventare un editore. Passo che compie dopo avere acquisito le quote dell’editrice prezzoliniana, in difficoltà finanziaria. Nel 1919 vede la luce la Vallecchi editore Firenze. Il primo titolo è una pietra miliare della poesia italiana, “Allegria di naufragi” di Giuseppe Ungaretti. Da quel momento, è un susseguirsi di nomi illustri. Eccone alcuni, del 1920: “Viaggi nel tempo” di Cardarelli, “Trucioli” di Camillo Sbarbaro, “Pesci rossi” di Emilio Cecchi. E via di questo passo.

Nel 1935, mentre Mussolini raggiunge il punto più alto della sua propaganda, la Vallecchi è nel momento migliore. Fascista convinto, Attilio negli anni della dittatura pubblica tuttavia scritti che, come ricorda Mughini, “avrebbero minato il consenso al fascismo”: da Landolfi a Gatto, da Bilenchi a Luzi, da Caproni a Pratolini. Muore nel 1946. A prendere in mano le redini dell’attività sarà il figlio Enrico, ma dopo la guerra cominciano a emergere gli scrittori legati alla sinistra che raccontano la Resistenza e che pubblicano per Einaudi: Calvino, Pavese, Fenoglio… Inizia così per la casa editrice fiorentina un lento declino. Dal 1962, e per dieci anni, i Vallecchi sono estromessi dalla gestione della casa editrice, dove domina Geno Pampaloni. Nel 1983 l’ottantenne Enrico riscatta le quote e rilancia la sfida. Muore nel ’90. Ancora oggi il marchio resiste, anche se con tutt’altra fisionomia e tutt’altro catalogo. Ma rimane un passato glorioso, da vera star delle lettere italiane.