Quando Sen parla di identità parla di se stesso

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Quando Sen parla di identità parla di se stesso

Quando Sen parla di identità parla di se stesso

09 Dicembre 2007

A  Identity and Violence: the Illusion of
Destiny
di Amartya Sen, un libro uscito in Gran Bretagna nel 2006 da
Penguin Books, è stata dedicata un recensione sull’Occidentale del 4
novembre 2007, dove gran parte della complessa tematica affrontata dal
cosmopolita indiano è passata in secondo piano, ma per l’effetto suscitato
fuori d’Italia è importante tenerne conto.

Identity and Violence ha
provocato vaste discussioni in Gran Bretagna, scossa ancora dall’attacco
islamico del 7 luglio 2005, perché al centro delle considerazioni di Amartya
Sen vi è non solo la critica dell’Inghilterra coloniale, della politica
post-coloniale inglese –  la meno
discriminatoria in Europa nei confronti degli emigrati –  ma soprattutto un giudizio molto duro sulle
reazioni del sindaco di Londra e dei politici inglesi dopo il 7 luglio.

Quel
giorno Amartya Sen era a Londra e ciò che lo disturbò furono gli inviti dei
politici inglesi alle comunità musulmane ad agire insieme per isolare eventuali
terroristi e integralisti. Per Sen, invitare le comunità musulmane a
collaborare fu un errore, perché l’invito costituì un tentativo di mescolare
religione e politica. Per Sen classificare gli emigranti provenienti dal
Bangladesh  (oggi l’attuale Bengala
orientale) come musulmani e trascurare la loro identità di cittadini del
Bangladesh è stato un grave errore. Ossessionato dalla memoria della
frammentazione religiosa indiana e dei feroci conflitti secolari tra indù e
musulmani, fino alla sanguinosa separazione tra India e Pakistan nel 1947, Sen
teme il settarismo e per questo contro l’identità religiosa  sottolinea soprattutto l’identità culturale
e linguistica dei bengalesi. 

Alla base
della corrosiva critica al multiculturalismo britannico vi è il risentimento di
Sen per il tentativo inglese nel 1905 di dividere il Bengala, la più vasta e
popolosa provincia dell’India britannica, 
per governarla meglio, usando criteri religiosi per la separazione: da
una parte i territori a maggioranza indù, dall’altra quelli a maggioranza
musulmana. Questa decisione scatenò violenti incidenti all’epoca, ma i
musulmani del Bengala orientale non si opposero, perché avrebbero avuto
migliori condizioni.  Negli anni ’40,
durante il processo di indipendenza dell’India dalla Gran Bretagna, i conflitti
esplosero di nuovo e si arrivò a una violenza da guerra civile. Il bengalese
Amartya Sen allora ragazzo (Sen è nato nel ’33) visse in Bengala la tragedia
ricordata da Mario Vargas Llosa su La Stampa il 14 aprile 2007 di
raccogliere nel giardino di casa insieme al padre un povero operaio musulmano
bastonato a morte da alcuni indù. Lo stesso Sen, in una intervista del Washington
Post
del 12 giugno 2006 ha ricordato che durante gli scontri degli anni
’40, di cui fu testimone in Bengala, le vittime musulmane e indù condividevano
una stessa identità sociale: erano musulmani poveri e indù poveri. Ma gli
abitanti del Bengala, sebbene divisi dalla religione, condividevano la stessa
lingua e proprio la lingua e la cultura furono le componenti più importanti
nella separazione del Bangladesh dal Pakistan, così come per gli indiani del
Bengala occidentale fu importante la problematica politica incentrata sul
problema della povertà. 

Per questo,
Amartya Sen contesta duramente la teoria di Samuel P. Huntington sul conflitto
di civiltà e la definisce un tentativo di ridurre le civiltà ad una sola
dimensione. In contrasto a Hungtington, Sen celebra la complessità
dell’identità della natura umana.  “La
stessa persona – scrive nel suo pamphlet tanto amato dal quotidiano comunista Liberazione
– può essere senza la minima contraddizione, di cittadinanza americana, di
origine caraibica, con ascendenze africane, cristiana, progressista, donna,
vegetariana, maratoneta, storica, insegnante, romanziera, femminista,
eterosessuale, sostenitrice dei diritti gay e delle lesbiche, amante del
teatro, militante ambientalista, appassionata di tennis”. A Sen si potrebbe
obiettare che non si sono mai visti grandi scontri tra vegetariani e
antivegetariani, ma è chiaro che il paradigma della molteplicità delle identità
è usato da Sen in funzione anti-Huntington e soprattutto da una prospettiva
tutta interna ai problemi indiani. Per esempio, Sen giudica positiva l’identità
nazionale se combatte il colonialismo e l’imperialismo, mentre diversamente
genera discriminazione e conflitto. 

Questo aspetto è ancora più evidente nel 
libro The Argumentative Indian, pubblicato da Allen Lane nel
2005. Qui Amartya Sen afferma che è un luogo comune dei nostri giorni pensare
che l’Occidente sia la patria della libertà religiosa e della democrazia, come
afferma George Bush che vuole esportare la democrazia in Medioriente. A questo
proposito Sen ricorda polemicamente che quando l’Europa cattolica era
brutalizzata dall’Inquisizione e Giordano Bruno bruciato a Roma, in India nel
sedicesimo secolo l’imperatore mongolo Akbar dichiarò “nessun uomo deve trarre
vantaggio da ragioni religiose e a ciascuno deve essere permesso di seguire la
religione che desidera”. Sen sostiene che il genio indiano deriva dalla sua
diversità e che è un errore occidentale considerare l’India come un paese
mistico e religioso, perché l’India ha invece una tradizione analitica,
scettica e perfino ateistica. Sen sostiene anche che l’Islam ha arricchito la
civiltà indiana e porta ad esempio il tollerante multiculturalismo
dell’imperatore Akbar, che pur essendo musulmano, introdusse principi di
tolleranza e perfino di dialogo tra le fedi che rimangono eccezionali
nell’intera storia dell’umanità. Amartya Sen è quindi tutt’altro che un teorico
della crisi dell’identità: è un critico dell’Occidente, tutt’altro che
monolitico in quanto a identità,  a cui
contrappone l’identità della sua India. Chiaramente sente come una minaccia
alla stabilità interna indiana gli attuali conflitti occidentali col mondo
musulmano, dimenticando però che l’attacco alle due torri l’11 settembre e a
Londra il 7 luglio è stato portato da terroristi musulmani. Forse, come ha
sottolineato James Harkin del Guardian, questo educato accademico che si
divide tra Cambridge, Harvard, l’India e l’Italia, è indiano, vota alle
elezione britanniche come cittadino del Commonwealth e a quelle indiane come
cittadino indiano, sa semplicemente mettere a profitto  la teoria della molteplicità delle  identità. A conclusione  dell’intervista con James Harkin, Sen
confessa: “ Dal punto di vista della nazionalità, ho un’identità indiana, ma
ognuno ha molte identità, dipende dal contesto. Mi piace insegnare a Harvard e
ho un’identità di accademico americano, ma ho anche una forte identità come
economista, come uomo di sinistra moderato e anche come egualitario”.