Quando un’ebrea sa quello che fa

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Quando un’ebrea sa quello che fa

09 Marzo 2008

Fiamma Nirenstein si sveglia ogni mattina nella sua casa di Gilo, ai confini con la zona araba di Gerusalemme, e sente la voce del muezzin chiedere sangue e morte per gli ebrei. Quando beve un caffè o mangia una pizza in centro si chiede, magari solo per un secondo, se ne uscirà viva o se l’uomo seduto accanto a lei non sia sul punto di farsi esplodere.

Quando il suo lavoro di corrispondente la porta a Gaza o in Cisgiordania sa che la sua vita vale due soldi perché i pezzi che oggi scrive per il Giornale (e qualche volta anche per noi de l’Occidentale, dove ha una rubrica)  sono tradotti e vivisezionati sui media arabi. E quando viene in Italia, a Firenze dove è nata o a Roma dove ha un figlio e una casa, c’è una scorta che la segue ogni momento. So che non vuole che si sappia: lei ne farebbe a meno, ma le minacce che le arrivano sono roba seria.

Quando non è in Italia o in Israele, è in giro per il mondo, spesso in America, dove è considerata uno dei pochi europei che valga la pena di ascoltare in tema di terrorismo e di radicalismo islamico. Per questo ha un posto di riguardo nei più importanti think tank internazionali.

Quando dall’Italia le è venuta la richiesta di candidarsi nel Pdl credo di sapere quale sia stato il suo primo pensiero: “come faccio a lasciare Israele?”. Il secondo deve essere stato: “Forse posso fare qualcosa per Israele”.

Quando Berlusconi e Fini erano presidente del Consiglio e ministro degli Esteri, l’Italia era il miglior alleato di Israele in Europa.  Forse per la prima volta durante quegli anni Israele non si è sentita una scheggia di Occidente casualmente conficcata in una terra ostile. Forse per la prima volta, in quegli anni, la voce e gli interessi di Israele hanno avuto uno sponsor che non fossero i soli Stati Uniti, qualcuno che votava “no” a Bruxelles e all’Onu sulle decine di risoluzioni contro il “razzismo di Tel Aviv”.

Quando Fiamma Nirenstein ha accettato la candidatura nel Pdl, deve aver pensato, “sono amici degli ebrei, sono amici di Israele” e magari ha deciso che poteva dare una mano alle sue due patrie nello stesso tempo. All’Italia, dove la consapevolezza di quanto accade in Medio Oriente – e in genere oltre frontiera –  è spesso colpevolmente labile; e a Israele che potrebbe ritrovare nel governo del Pdl un vecchio e rimpianto alleato.

Quando abbiamo letto su  Repubblica (nell’edizione di Genova, dove Fiamma è candidata), un articolo dal titolo “L’ebrea Nirenstein per An nel Pdl” non ci siamo stupiti più di tanto. Il gioco di associare un’ebrea ai cosiddetti post-fascisti di Fini era troppo facile e ghiotto per un giornale che ritiene di incarnare da solo e tutta intera la schiatta dei buoni e dei giusti. Meno comprensibile (e forse costruita ad arte) la protesta degli ebrei genovesi che secondo Repubblica sarebbero inorriditi per la scelta di Fiamma.

Viene da chiedersi se quegli stessi ebrei inorridiscono anche quando l’attuale ministro degli Esteri, Massimo D’Alema, va a braccetto con Hezbollah e, anche dopo la strage nella scuola rabbinica di Gerusalemme, continua a ripetere che bisogna trattare con Hamas. O quando Veltroni estromette dalle sue liste quei pochi parlamentari che, a sinistra, hanno compreso e difeso le ragioni di Israele.

La storia e il passato di uomini e partiti contano, ma quando si tratta di vita e morte, di bombe e di sangue, i fatti contano di più. Fiamma Nirenstein, che è prima di tutto una giornalista, lo sa.

(g.l.)