Quante bugie si raccontano sulla “pace” in Medio Oriente

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Quante bugie si raccontano sulla “pace” in Medio Oriente

06 Gennaio 2011

Com’è lontano il Medio Oriente, quant’è nebbiosa la sua immagine da cui sempre speriamo che possa sprigionarsi quel sogno di pace che invece svanisce ogni volta… Piuttosto che guardarlo col cannocchiale, preferiamo disegnarcelo in modo che alla fine tutti vorranno la pace, che il suo invincibile estremismo sia solo una fantasia dettata dalla paura e il pericolo che ne promana, un’esagerazione.

È la voglia di essere lasciati tranquilli, la stessa sindrome per cui siamo pronti a iscrivere all’Islam moderato personaggi come Tarik Ramadan, o ci sembra di poter chiamare dialogo fra le religioni quello in cui dietro le quinte a Londra guadagnano terreno i tribunali islamici, ci pare una cosa graziosa che il nome più diffuso in certi Paesi del Vecchio Continente sia ormai Mohammed, o si ammette il burqa in nome del multiculturalismo, o ci si limita a scuotere la testa sentendo che a Parigi vivono ormai 200mila persone in famiglie poligamiche.

La nostra terrazza con vista sul Medio Oriente comporta la censura sui pericoli di guerra. Il primo oggetto di rimozione è l’Iran, con la sua futura bomba atomica, l’allargarsi della sua egemonia internazionale e il suo mostruoso atteggiamento verso i diritti delle donne, degli omosessuali, dei dissidenti, della libertà in generale. Ancora si insiste a pensare che sia possibile un dialogo con Ahmadinejad, il delirante rais che abbiamo più volte sentito pontificare dal podio dell’Onu per invitare il presidente degli Stati Uniti a convertirsi all’Islam, ha promesso di ammazzare tutti gli ebrei e di estendere il dominio dell’Islam su tutto il mondo.

Tra un mese l’incontro fra l’Iran e i Cinque più Uno ci riprova, nonostante il regime, con le recenti mosse di arresti ed epurazioni, dia segno di stringersi intorno al progetto atomico. Nessuno ha cercato di aiutare l’opposizione dopo che le furono rapinati i risultati elettorali, anche se la sua consistenza è fuori di dubbio dato che milioni di persone hanno disperatamente tenuto le piazze per mesi.
Gli USA sono rimasti zitti anche di fronte ai war games iraniani sullo Stretto di Hormuz, al fatto che l’Iran ha allargato il fronte di guerra in Afghanistan, ha impedito alla fazione pro americana che ha vinto le elezioni in Iraq di formare un governo forzando il restauro del primo ministro Nouri al Maliki ha piazzato i suoi impressionanti investimenti in Sud America così da influenzarne un atteggiamento ormai estremistico e da pompare l’odio antisemita che come esempio estremo ha il presidente del Venezuela Chavez.

L’Iran fa paura, e per questo si lascia che continui ad avanzare e di conseguenza che ci faccia sempre più paura. E il giudizio illusorio si allarga alla Turchia, alla Siria, al Libano, ai Palestinesi. La Turchia, dove per altro si terrà l’incontro dei Cinque più Uno, seguita a figurare nella fantasia di molti come il Paese che dai tempi della rivoluzione di Kemal Atatürk svolge il compito di trait d’union fra l’occidente e l’Islam. La verità è che la rivoluzione laica è stata messa nel cassetto per lasciare il posto a una deriva islamista in cui vince l’amicizia e l’alleanza con l’Iran.

L’alleanza con la Siria con cui sono stati firmati numerosi trattati d’affari e militari e persino con Hamas, con cui il ministro degli esteri Davutoglu si è incontrato nel luglio scorso, segnano la via della Turchia, una politica gridata, tutta volta verso il mondo islamico, che fa della politica antisraeliana la sua bandiera. Solo due giorni fa la nave Marmara di ritorno dalla disgraziata operazione di aiuto a Gaza, è stata accolta in porto da una folla che gridava "morte a Israele" sulla traccia dei continui assalti verbali di Erdogan allo Stato Ebraico, fra cui quello contro Peres in persona a Davos.

La Siria, amiamo vederla come un Paese che non sa ancora bene dove andare e che alla fine in nome del buon senso abbandonerà l’asse iraniano. Hillary Clinton ha anche ricollocato quest’anno un ambasciatore a Damasco, John Ford, sperando di influenzare Bashar Assad. Ma egli ha continuato tranquillo sulla sua strada: minacce continue di guerra, riarmo intensivo, un vertice strategico in cui alla presenza di Ahmadinejad ospite di onore, si sono riuniti con siriani e iraniani sia il capo supremo di Hamas Khaled Mashaal che, in una mossa rarissima, il capo degli Hezbollah Nasrallah. La strada è rimasta quella: la Siria si è distinta per il riarmo degli Hezbollah che contano 30mila missili, per l’aiuto a Hamas che ormai ha missili capaci di raggiungere Tel Aviv, per la sua battaglia a fianco degli Hezbollah allo scopo di evitare che il Tribunale Internazionale renda noto il risultato di colpevolezza della milizia sciita libanese nell’omicidio del 2005 dell’allora premier Rafiq Hariri.

E qui la tragedia del Libano: seguitiamo a raccontarci che in un Libano variegato e pluralista esiste solo una forza di disturbo rappresentata dagli Hezbollah e che aiutare il governo e l’esercito libanese servirà a tenerlo a bada. La verità è che gli Hezbollah sono la forza dominante della politica libanese, ricattata sia dalla sua minaccia di trascinare il Paese dei Cedri in una nuova guerra, sia da quella di una sanguinosa sovversione interna: di ambedue le cose si sono già dimostrati capaci e sia l’esercito, appesantito dalla componente sciita, sia il governo, spaventato dalle scoperte del Tribunale Internazionale, tentennano sulla possibilità stessa di contrastare il potere iraniano che tramite Hezbollah si è impossessato del Paese.

Infine, i palestinesi: l’idea che amiamo rappresentarci è quella di un mondo in cui Fatah, contro Hamas, desidera arrivare alla pace, a una partizione che consenta la soluzione di due Stati per due popoli. Ma la realtà è diversa: tutte le più recenti esternazioni, compresa quella in cui Abu Mazen dichiarò due giorni fa che lo Stato palestinese sarà ripulito da ogni presenza ebraica, o quella del suo capo negoziatore Sa’eb Erekat secondo cui è inevitabile il “ritorno” di 7 milioni di profughi, nipoti e pronipoti compresi, dentro i confini d’Israele, che conta appunto 7 milioni di abitanti compresi gli arabi, oppure la dichiarata indisponibilità a negoziare scambi territoriali e a riconoscere l’esistenza di uno stato ebraico, vanno di concerto con quello che forse è il segnale più drammatico del rifiuto alla pace: la cultura dell’odio e del terrorismo che la tv, i giornali, le scuole palestinesi diffondono.

Le piazze chiamate con i nomi dei terroristi suicidi, il congresso del Fatah che si apre in loro nome con applausi in piedi, lo "studio" di un viceministro della cultura sul sito dell’Autonomia Palestinese che dichiara che non c’è mai stata traccia di ebrei a Gerusalemme, o l’odiosa invenzione di un Gesù palestinese perseguitato dagli ebrei quando ai tempi di Gesù, prima che i Romani mettessero il nome di Palestina a Israele, ancora neppure esisteva il concetto di palestinesi… tutto questo, insieme alle debolezza di Abu Mazen che ormai gestisce il suo potere con largo uso della polizia mentre Hamas lo minaccia da lontano. Forse tutte queste verità ci consiglierebbero nuove strade di pace, perché quelle vecchie sono ostruite.

(Tratto da Il Giornale)