Quanto ci costa la recessione

LOCCIDENTALE_800x1600
LOCCIDENTALE_800x1600
Dona oggi

Fai una donazione!

Gli articoli dell’Occidentale sono liberi perché vogliamo che li leggano tante persone. Ma scriverli, verificarli e pubblicarli ha un costo. Se hai a cuore un’informazione approfondita e accurata puoi darci una mano facendo una libera donazione da sostenitore online. Più saranno le donazioni verso l’Occidentale, più reportage e commenti potremo pubblicare.

Quanto ci costa la recessione

Quanto ci costa la recessione

27 Novembre 2008

 

Quanto ci costerà la recessione in cui siamo? Qual è la differenza fra una crisi economica ed una recessione tecnica, termine sempre più ricorrente? Che i costi, anche per l’economia reale, della crisi dei mutui subprime, sarebbero stati elevati, lo si era intuito fin da subito, ma si possono quantificare? Un numero è stato scritto ed è rappresentato dal dato relativo il Pil reale atteso per il 2009, per l’Italia. Secondo l’Ocse, la variazione negativa è stimabile in un punto percentuale, vale a dire circa 10 miliardi di euro rispetto l’anno in corso (Pil prezzi costanti, dati IMF), una cifra che però non chiarisce abbastanza questa fase del ciclo economico. L’idea di base è che, nemmeno fra gli addetti ai lavori, ci sia particolare sicurezza sui numeri. Troppe le variabili in gioco, troppa la straordinarietà dei default del mercato finanziario americano per avere un quadro certo dell’esposizione totale. Eppure, possiamo cercare di osservare quali potrebbero essere i maggiori oneri derivanti dalla crisi senza avere la presunzione di essere al pari di Nostradamus.

Chiarendo cos’è una recessione tecnica, ovvero una crescita negativa del Pil per due trimestri consecutivi, si può iniziare considerando alcuni indicatori macroeconomici che aiutano a comprendere la portata di uno shock che, non a torto, è stato considerato il peggiore dal 1929. Solo pochi si addentrano nella strada di indicare un numero che possa testimoniare tutta l’ampiezza del momento. FBR Capital Markets ci ha provato, stimando in oltre mille miliardi di dollari la cifra utile affinché si possa uscire dallo status quo. Nel rapporto presentato, il gruppo americano ha analizzato come il piano Paulson vada ad incentivare in prevalenza il Capitale Tier 1, indice introdotto da Basilea 2 che valuta la liquidità di una banca, mentre mancano ancora delle soluzioni per risolvere i problemi di capitale degli stessi istituti di credito.

Le borse mondiali hanno bruciato, sul campo, quasi il 50% del proprio valore da inizio anno. Se l’indice Dow Jones a luglio 2007 era a quota 14mila punti, oggi è intorno agli 8mila. A questa cifra vanno aggiunti tutti i miliardi di capitalizzazione perduti nelle sedute di borsa dal luglio 2007 ad oggi e tutti quelli utilizzati per i salvataggi di stato. Miliardi che sono ancora in ballo, dato che la volatilità dei mercati è ancora elevatissima (vedasi il dato sul Vix Index), come dimostrano ogni giorno le fluttuazioni dei titoli, bancari soprattutto. Questo senza contare i costi sociali della crisi, ancora indefinibili. Si, perché non vi è chiarezza nemmeno delle modalità in cui il virus subprime si trasferirà agli altri settori, quali sono immuni e quali no. A tal proposito, cerca di far luce il Fondo Monetario Internazionale.

Nella revisione di novembre il World Economic Outlook del FMI ha messo in luce tutte le difficoltà delle economie cosiddette avanzate: le stime di crescita per il 2009 sono negative per gli Stati Uniti (-0,8%), l’area Euro (-0,8%) e per il Giappone (-0,7%). Peggiori le previsioni dell’Ocse, giunte proprio ieri: per l’Italia netta recessione per il 2009 (-1%), idem per gli Stati Uniti (-0,9%). Quelle che deve preoccupare di più sono però i dati relativi ad altri indicatori, in questo la fiducia del settore industriale, che testimoniano una generale flessione nella produzione mondiale. Si prospetta quindi un periodo di contrazioni ancora maggiori dei consumi, specialmente di beni durevoli, negli investimenti e perfino in un settore-rifugio, quello delle costruzioni. Proprio quest’ultimo ha registrato una notevole flessione in Eurolandia nel mese di settembre, perdendo l’1,3% rispetto ad agosto. Ed anche sul fronte dei consumi, prendendo ad esempio il caso italiano, si arranca con evidente difficoltà: ci sarà una fase piuttosto lunga di consumi in diminuzione, almeno tre anni. Così evidenzia l’ultimo studio di Confcommercio che prevede il segno meno per l’anno in corso (-0,5%), il 2009 (-0,5%) ed il 2010 (-0,4%). Sulla stessa linea d’onda Confindustria che nell’ultimo outlook sulla produzione industriale ha evidenziato come questa sia diminuita in ottobre, su base annua, del 2,6%, dopo il -5,7% di settembre.

Cosa accadrà quindi? All’aumento delle restrizioni del credito, sia per le imprese che per il mercato retail, faranno seguito le sempre più frequenti richieste di liquidità da parte del mondo dell’industria. In un tessuto come quello italiano, fatto in prevalenza di piccole e medie imprese, le situazioni complicate si stanno osservando già adesso. Logico che vi sarà un considerevole contraccolpo della recessione sugli investimenti, sui consumi delle famiglie e sul mercato occupazionale. Ma a risentirne saranno anche le casse dello Stato, considerato che i piani di ammortizzazione sociale saranno messi a dura prova dalla nuova fase congiunturale. Ridare fiducia, oltre che credito, ad un’economia in netta caduta sarà uno degli obiettivi più importanti dei governi mondiali. Il tutto senza essere indulgenti coi colpevoli.

A livello globale, di fronte al crollo di un sistema considerato come uno dei più solidi al mondo, quello delle banche d’affari statunitensi, ci si domanda legittimamente dove va l’economia e quanto pagherà l’uomo della strada per questa crisi. Inutile fornire una risposta adesso, sarebbe più facile centrare una vincita alla lotteria. Quello che è certo, è che ci si deve attendere un notevole ridimensionamento delle nostre economie, anche a partire dal vizio di vivere al di sopra le proprie possibilità attraverso il credito al consumo. Sempre che la Fed non elargisca altro denaro.