Quanto è fasullo il dibattito sulla crescita in Europa

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Quanto è fasullo il dibattito sulla crescita in Europa

28 Aprile 2012

Crescita o austerità? E’ l’alternativa su cui oggi si confronta l’Europa – o almeno, è quel che va dicendo il consensus keynesiano. Secondo questa scuola di pensiero, che ha dominato i circoli economici da quando è esplosa la crisi del 2008, la crescita dipende soprattutto dalla spesa statale. Spendi di più e sostieni la crescita, anche quando il tuo paese aumenta le tasse per finanziare questa spesa. Ma provati a tagliare la spesa statale come suggeriscono i tedeschi, e diventi un sostenitore dell’austerità e un avversario della crescita.

E’ un paradigma privo di senso, errato nell’analisi di ciò che realmente sta alla base della prosperità economica, e aiuta a spiegare l’attuale e difficile situazione in cui versa l’Europa. Si dovrebbe piuttosto parlare di quali siano le politiche migliori per produrre crescita.

Negli anni Ottanta, il mondo apprese (o almeno così credemmo) che la strada per uscire dai malanni degli anni Settanta dovesse incentrarsi su quelle riforme che avessero incoraggiato gli investimenti privati e l’assunzione di rischi, la mobilità lavorativa e la flessibilità, la fine del controllo dei prezzi, tasse che avessero favorito la formazione di capitali, e in generale quello che la Banca Mondiale chiama “la facilità di fare affari”. Nel pieno della crisi, l’Europa ha provato di tutto tranne che politiche simili.

Se Reagan e Margaret Thatcher sono troppo fuori moda per essere invocati dagli europei, che dire allora della Germania? Per tutti gli anni Novanta e all’inizio dei Duemila, era il gigante zoppo del continente, con una crescita sotto la media e una disoccupazione che nel 2005 arrivò all’11,3%, quasi il massimo tra i paesi dell’Ocse. All’epoca il cancelliere Gerhard Schroeder, un socialdemocratico, sorprese il mondo portando avanti le riforme del mercato del lavoro che aprirono la strada per l’attuale benessere. I cambi introdotti tagliarono il Welfare, e diedero maggiore flessibilità agli imprenditori nel raggiungere un accordo con i propri impiegati su orario e stipendi.

Il governo Schroeder, e più tardi la coalizione guidata da Angela Merkel, tagliò inoltre le tasse federali alle imprese portandole, nel 1998, al 15% dal 45%. Le tasse alle imprese, inoltre, attualmente arrivano al 30%, dal 50% e più degli anni Novanta. Queste riforme hanno reso la Germania più competitiva, hanno attratto investimenti e posti di lavoro, e preparato la strada per il risorgere economico della nazione nella quale, adesso, la disoccupazione è al 5,7%.

Il governo di Angela Merkel ha consegnato al mondo un ulteriore favore nel 2009, nel pieno della crisi economica, respingendo gli appelli del Fondo monetario internazionale, dell’allora primo ministro inglese Gordon Brown, del presidente Obama, del segretario al Tesoro Tim Geithner e dello stesso dominante mainstream keynesiano, perché prendesse parte alla gran festa della spesa pubblica. “Hanno già pompato sconfinate quantità di denaro nell’economia – dichiarò il ministro delle Finanze tedesco, Wolfgang Schäuble, nel 2010, parlando dell’economia statunitense – e i risultati sono desolanti”. (Si veda al riguardo il nostro editoriale del 12 Marzo 2009, “Old Europe Is Right On Stimulus”).

La ripresa tedesca avrebbe potuto essere ancora più forte se la signora Merkel e i suoi compagni di coalizione non fossero venuti meno alle loro promesse di riduzione delle tasse, e non avessero alzato la Vat e altre imposte con l’obiettivo di non scostarsi dagli obiettivi di bilancio. Eppure adesso la signora Merkel è ampiamente criticata per avere evitato quegli errori politici che hanno portato alla crisi del debito, e per aver avuto la fermezza di incoraggiare altri paesi a copiare le riforme che hanno funzionato per la Germania. I keynesiani non perdoneranno mai la Germania di aver avuto ragione.

In ogni caso, l’Europa non può più permettersi spese folli. Come mostra il presente grafico, il debito è cresciuto drammaticamente in tutto il mondo sviluppato da quando la crisi è scoppiata, nel 2008, ed è l’unica cosa – oltre a un’asfittica ripresa (quando non recessione a doppia cifra) – che i keynesiani possano esibire come risultato della grande esplosione della spesa pubblica.

Ora, i buoni del tesoro sono tornati a crescere nella periferia dell’Unione, i mercati continentali sprofondano e gran parte dell’Europa è in recessione. I “bond vigilantes” di Adam Smith continuano ad affermare che senza riforme in grado di ridurre la spesa statale e incoraggiare la crescita dell’economia privata, i paesi europei diverranno scommesse sempre più rischiose. Come hanno compreso gli astuti tedeschi, i mercati dei bond potrebbero essere la sola lobby in Europa in grado di favorire genuine riforme per la crescita.

Anzichè un’inflazione in grado di creare nuovi problemi e nuova crisi, la crescita economica è la sola via d’uscita alla palude europea del debito. Ma deve essere una crescita dell’economia privata trainata dalle riforme nel regime fiscale, nel mercato del lavoro, nei regolamenti, nelle pensioni e in tanti altri campi. Gli elettori europei hanno già mandato via diversi governi, e sembrano pronti a mandarne via altri. Ma quel che veramente bisognerebbe mandare via è l’idea dominante, e scoraggiante, secondo cui la spesa pubblica possa portare alla crescita.

Tratto dal Wall Street Journal

Traduzione a cura di Enrico De Simone