Quanto sangue cristiano sulla mappa del mondo

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Quanto sangue cristiano sulla mappa del mondo

01 Aprile 2016

È piuttosto complicato disegnare una mappa delle persecuzioni cristiane nel mondo. Sotto il sole non c’è nulla di nuovo, ma ogni cosa pare improvvisamente abbagliante e rumorosa nell’eco degli ultimi fatti. I resti dei settantadue uccisi in Pakistan, sparsi sull’erba d’un parco da gita pasquale, forse rendono la minaccia e la persecuzione in atto più evidenti.

Gli ultimi dati disponibili raccontano che “l’ottanta per cento degli atti di persecuzione religiosa nel mondo è orientato contro i cristiani”. Il Center for the Study of Global Christianity ha riportato, oltre un anno fa, la stima media di centomila cristiani uccisi ogni anno per la loro fede lungo l’ultimo decennio. In media, viene ucciso un cristiano ogni cinque minuti. La tendenza prevalente dei leader e dei media occidentali, in questi anni, si è incentrata sul silenzio, le interpretazioni false ed ipocrite e il ritenere esagerate le richieste d’aiuto. Gli eccidi diffusi sono sempre stati un chiaro segnale di rischio per tutto il mondo occidentale fin da subito, ma il campanello di allarme inizia a farsi sentire, seppur ancora flebile, solo ora. Ora che il pericolo islamico è conclamato.

Fare stime è difficile, i numeri ballano e illudono. E i censimenti non sono quasi mai possibili. Quel che è certo è che, rispetto ad un paio d’anni fa, il numero di paesi dove la persecuzione nei confronti dei cristiani è considerata estrema è passato da sei a dieci. La persecuzione dei cristiani del mondo cresce in media di 2,6 punti rispetto all’anno precedente: duemilaquattrocento le chiese attaccate (milleventisei nel 2014), oltre settemilacento cristiani uccisi a causa della loro fede (quattromilatrecentoquarantaquattro nel 2014).

La World Watch List 2016, l’annuale rapporto sulla libertà religiosa dei cristiani nel mondo, ha misurato il grado di libertà dei cristiani nel vivere la loro fede in sei sfere della vita quotidiana. E anche per quel che riguarda l’ultimo rapporto, l’estremismo islamico continua a costituire la fonte principale di persecuzione anticristiana. I paesi africani si impongono sempre di più nella lista che conta fino a cinquanta paesi in cui il rischio è drammatico. Nella cintura sub-sahariana, in termini numerici, se non di intensità, la persecuzione dei Cristiani mette in ombra perfino i fatti del Medio Oriente.

In Medio Oriente e in Africa la persecuzione anti-cristiana prende la forma di una sorta di pulizia etnica. Nel nord, nordest e nella cintura centrale della Nigeria, Siria, Iraq, Sudan, Somalia e nel nordest del Kenya, la persecuzione adotta uno schema supportato in maniera sistematica da attori che fanno parte degli stessi Stati : la persecuzione avviene con lo scopo di allontanare se non addirittura sterminare i cristiani. L’ultimo bilancio nel nord della Nigeria racconta di undicimilacinquecento cristiani uccisi, tredicimila chiese distrutte o costrette a chiudere, e migliaia di attività economiche, case e proprietà di cristiani cancellate.

L’obiettivo di queste stragi? Cambiare la geografia religiosa e demografica del continente africano. Secondo Philip Jenkins, uno dei massimi esperti di cristianità, “è in Nigeria che si gioca l’equilibrio fra islam e cristianesimo”. E la Nigeria è ormai il laboratorio di questo esperimento, dal momento che si mostra come una trama articolatissima di fedi. L’intero continente è destinato a cambiare se l’assassinio di massa non si fermerà: “se la Nigeria cade nelle mani islamiste, tutta l’Africa sarà a rischio”, così, un po’ di tempo fa, il vescovo cattolico di Nomadi. Dalla Nigeria settentrionale, passando per il Sudan, la sharia è diventata la fonte del diritto. E tutte quelle chiese rase al suolo e i morti, lo testimoniano.

Era lo scorso luglio quando a Bruxelles, in un incontro sui cristiani perseguitati organizzato dal parlamento europeo, l’imam di Nîmes, disse: “Nel mondo i cristiani sono perseguitati, braccati, privati del lavoro, imprigionati, torturati, assassinati. Tutti i mezzi sono usati per costringerli a rinnegare la loro fede, compreso il rituale dello stupro collettivo, considerato in certi stati come una forma di sanzione penale. Possedere una Bibbia è diventato un crimine, proibita è la celebrazione del culto, si è tornati ai tempi delle messe nelle caverne e dei primi martiri”.

In Pakistan, nel 2011, Shahbaz Bhatti, un politico, era stato ucciso perché aveva portato alla luce le discriminazioni e il lato oscuro della legge pakistana contro la blasfemia. Quando, una manciata di giorni fa, si è diffusa la notizia che il suo killer sarebbe stato giustiziato in una prigione di massima sicurezza, la città ha organizzato manifestazioni e proteste per le strade. L’assassino era stato, infatti, celebrato dalle folle come un eroe capace di combattere per l’onore dell’islam.

In Sudan, quotidianamente, chiudono luoghi di culto cristiani. Le chiese colpite sono principalmente quelle che servono i profughi provenienti da Eritrea, Etiopia, Sud Sudan e Filippine. E la chiusura delle chiese è la conseguenza dell’entrata in vigore, ad inizio febbraio, di un decreto del Ministero degli Interni che ha imposto alle comunità che aiutano i rifugiati di registrarsi entro il 15 del mese stesso. Azione che secondo i pastori è espressione del fatto che il governo voglia raccogliere tutte le informazioni disponibili sulle chiese per schedarle. Cosa accaduta nella vicina Eritrea. Il governo del Sudan continua senza sosta ad esercitare una crescente pressione contro i cristiani. Attualmente due pastori cristiani sono in carcere da dicembre 2015, in isolamento, e formalmente non sono accusati di nulla.

In Libia ultimamente sei giovani sono stati uccisi perché accusati di non essere abbastanza rigorosi nella fede islamica. Ma niente di nuovo: la Libia è fin troppo nota per le esecuzioni, corsi forzati di rieducazione islamica, abbigliamento obbligatorio per le donne e fustigazioni pubbliche. Alle Maldive ci si vanta di essere al 100% zona musulmana: i famosissimi resorts distribuiti tra le isole offrono matrimoni in mezzo al mare, ma non per quanti professano la fede cristiana. Non c’è libertà di culto alle Maldive. Nell’estremità orientale della Repubblica Democratica del Congo, un gruppo islamico molto violento, chiamato ‘Alleanza della Forze Democratiche’, in queste ore insiste nel tentativo di liberare l’area dai cristiani, al fine di creare una base per la diffusione dell’islam in tutta la regione. In Afghanistan il regime dei talebani ha praticamente scacciato dal paese i residui della minoranza cristiana. La comunità cristiana in Arabia Saudita, costituita perlopiù da cittadini stranieri immigrati per lavoro, continua a soffrire per le restrizioni sulla libertà religiosa. I cristiani non possono riunirsi a pregare nemmeno in case private, è vietato possedere la Bibbia, e il proselitismo religioso è punito con la morte.

Ma non c’è solo l’estremismo musulmano a colpire le Chiese. Quello di targa induista non è meno pericoloso e devastante. L’India, negli ultimi anni, è costretta ad essere la testimone muta di un quotidiano stillicidio di uccisioni a danno di figure rappresentative della Chiesa cattolica, per mano di quanti, nel propugnare l’ideologia dell’hindutva, si dedicano ad una vera e propria caccia al cristiano. Perché in base a questa dottrina, l’indiano che si converte al cristianesimo o all’islam va considerato un elemento deviante e per questo va reciso dal corpo della nazione, salvo in caso di conversione. Ovviamente.

E in Europa? Dalle nostre parti ci sono decine di Molenbeek. Società infossate frutto delle politiche di multiculturalismo che incoraggiano la ghettizzazione e la radicalizzazione islamica. In Svezia, un quartiere di case popolari, pensato negli anni Sessanta per gli immigrati, è stato tappezzato da poster con su scritto: ‘Nel 2030 prendiamo il controllo’. A Copenaghen c’è un sobborgo segnalato come la prima ‘zona sotto il controllo della sharia’. In Germania le chiese sono vendute ai musulmani per farne moschee. L’Europa tollerante e moderata cammina con la stessa schiena dritta di chi ha una pistola puntata. Le comunità islamiche si confrontano quotidianamente con un uomo europeo che non sa chi è e che cosa dev’essere, come è proprio dello smemorato. E nell’assumere identità fluide e cangianti, si è convinto di non essere nessuno e di non dover essere niente.

L’Occidente tutto ha deciso di recidere le proprie radici. Ha scelto altre fondamenta al connubio fecondo di fede, ragione e diritto. Nel silenzio lascia martirizzare i suoi figli, e si rifiuta di intervenire. Perché prima di tutto si è suicidato culturalmente, e di persecuzione ai cristiani non vuol sentire parlare. Dovrebbe farsi troppe domande. Dovrebbe far fronte alla propria amnesia di sé stesso. Dovrebbe riconoscere che i suoi media da tempo hanno smesso d’informare secondo verità.