Quegli aquiloni nel cielo di Kabul
06 Aprile 2008
Un altro Afghanistan è stato possibile. In un passato che sembra ormai lontano anni luce. Quando le donne borghesi vestivano all’occidentale e gli uomini si bevevano un buon whisky. Quando i mullah erano poco più che preti buoni per i matrimoni tradizionali, combinati ma non imposti, o per i funerali. Almeno nei ceti sociali borghesi ed aristocratici. Insomma un tempo in cui nei cieli di Kabul si libravano gli aquiloni.
Ed è precisamente questo Afghanistan a costituire la vera trama del film “Il cacciatore di aquiloni”, diretto da Marc Forster e tratto dall’omonimo bellissimo romanzo di Khaled Hosseini. Lo scrittore è il figlio di un diplomatico dell’Afghanistan dell’era del re Zahir shah (venuto in esilio in Italia con il suo figlio Alex), prima che gli “shorawi” (i comunisti) precipitassero, trenta anni orsono, il paese in una spirale di odio, violenza e guerre da cui ancora deve uscire. Dopo i comunisti infatti sono arrivati i talebani, gli studenti pakistani indottrinati nelle moschee dell’odio, e poi, transfugo dal Sudan, che invano aveva tentato di servirne la testa in un piatto d’argento al presidente americano Bill Clinton, il noto capo terrorista Osama Bin Laden.
E tanto nel libro quanto nella sceneggiatura del film la scena madre di tutto il plot è quando Amir torna, dopo 20 anni, a Kabul dall’America%2C dove si era rifugiato con il padre Baba in seguito all’invasione sovietica, al solo scopo di salvare la vita a un orfano.
Il film come il libro, quasi identici nello svilupparsi dell’azione (un po’ come nel caso di “No country for old men” di Cormack Mc Carty riproposto in pellicola dai fratelli Cohen) in realtà prendoe solo a prestito la storia e il complesso di colpa del protagonista come puro espediente narrativo. Ma la vera protagonista del tutto è la terra di Afghanistan, martoriata ai giorni nostri, paradiso perduto degli aquiloni solo a metà degli anni ’70.
In Afghanistan questa pellicola è stata proibita per motivi di ordine pubblico dall’attuale presidente Karzai. In Occidente, in compenso, andrebbe fatta vedere ai tanti no global islamically correct d’Italia e d’Europa. L’Afghanistan pre talebano, così come l’Iran dello scià, erano esattamente il contrario dell’immagine che oggi tutti ne abbiamo. Erano paesi islamici e laici dove la gente si divertiva e godeva come nella Parigi degli anni ’20. Dove si facevano colossali feste con epiche bevute, magari proprio in occasione delle festività islamiche.
Le vere tradizioni perdute di quei posti per noi così lontani sono queste, compresa quella del folle gioco di cacciare gli aquiloni per tutta Kabul, rincorrendosi e nascondendosi nelle case della città, con la gente che lasciava le porte aperte. Gioco immediatamente abolito dopo l’andata al potere del clero musulmano fanatico sunnita che fa riferimento ai Fratelli musulmani di Ayman Al Zawahiri e al qaedismo jihadista di matrice saudita e wahabita che fa riferimento a bin Laden.