Quei fischi che non hanno reso onore né a Napoli né ai napoletani

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Quei fischi che non hanno reso onore né a Napoli né ai napoletani

22 Maggio 2012

di S. F.

Un fischio, poi due, poi un boato assordante che copre l’inno di Mameli.  Arisa, chiamata a intonare le note di "Fratelli d’Italia" ha la sola colpa di non possedere una voce più alta, capace di sovrastare quel rumoraccio assordante. Sembra di essere in uno stadio ostile, che fischia uno degli inni più belli e significativi del mondo. E invece no. Siamo a Roma, in Italia, e in campo ci sono due squadre italiane.

Si gioca la finale di Coppa Italia. Sul rettangolo verde ci sono Juventus e Napoli, e i fischi arrivano da quella parte dello stadio in cui siedono i tifosi partenopei. Non è, come spesso accade, un episodio circoscritto a pochi spettatori, ma una vera e propria presa di posizione di una tifoseria, capace di rappresentare se non tutto, una significativa fetta del popolo napoletano.

La squadra di Mazzarri, nella finale in scena a Roma, conferma in campo di essere la più bella realtà del calcio italiano. Il simbolo di una città che vuole tirarsi fuori dai problemi e dai giudizi negativi, capace negli ultimi mesi di trasportare in giro per l’Europa il suo entusiasmo travolgente.

Eppure, i fischi rischiano di rovinare tutto. L’Olimpico di Roma, esaurito in ogni ordine di posto, riesce a calamitare su di una competizione da anni in declino, l’attenzione di tutta la penisola.  Da tempo non si vedeva uno stadio stracolmo e carico di tanto entusiasmo tutto italiano. E allora: perché quei fischi? Perché si è persa una grande occasione per mandare in onda in diretta mondiale una bella cartolina dell’Italia?

“Ci avete sfruttato e insultato per 150 anni e noi adesso dovremmo sentirci italiani?”, si sente ripetere da tanti tifosi napoletani, curiosando in giro tra social network e blog. E’ questo, il leitmotiv utilizzato per spiegare una presa di posizione così clamorosa. In realtà, manifestazioni di dissenso molto simili si erano già registrate un anno fa, quando in vista del 150 esimo anniversario dell’unità italiana, a Napoli ma anche in altre realtà campane, dai balconi erano spuntate bandiere inneggianti ai Borbone al posto del tricolore.

E dire che, solo pochi mesi fa, proprio in vista dei festeggiamenti ultracentenari, un napoletano doc come Edoardo Bennato, simbolo da sempre di Napoli e della sua gente, ha dedicato una canzone proprio all’Italia unita e al tricolore. “Noi maledettamente piemontesi e napoletani, ma semplicemente italiani”, recita il ritornello.

Inutile adesso stare qui a contrapporre convinzioni ideologiche e analizzare teorie complottistiche sull’unità italiana. Non servirebbe a niente. Il dato di fatto è che l’Italia è una sola e la verità è che atteggiamenti come quelli di domenica fanno solo del male ad un paese già in grave difficoltà. E’ vero, ci sono stati spesso atteggiamenti discriminatori nei confronti del Mezzogiorno e dei popoli del Sud. E’ vero anche che, spesso, lo stesso sud è stato dimenticato dalle politiche di sviluppo e di investimento. Ma vogliamo davvero analizzare la situazione da un verso solo?

Napoli, la Campania e altre realtà meridionali, hanno fatto davvero tutto il possibile per far parlare bene di sé? O meglio: se l’Italia vive ancora dopo anni, questa contrapposizione nord -sud è davvero solo colpa delle regioni settentrionali? Il discorso da fare qui sarebbe lungo e questo non è certo il contesto adatto per discuterne. Come del resto neppure la finale di Coppa Italia era il luogo adatto per inscenare una protesta di cui si fatica a capire il senso.

Torniamo piuttosto sul prato dell’Olimpico, per un’ultima riflessione: se ce l’hanno tanto con l’Italia, perché dopo aver fischiato l’inno i tifosi napoletani hanno esultato per un trofeo che, non a caso, porta il nome dell’ Italia stessa? E ancora: perché solo sei anni fa, quando la nazionale vinceva a Berlino il suo quarto mondiale, Napoli impazziva di gioia, sventolando il tricolore? Non era allora la stessa Italia e non echeggiava negli stadi lo stesso inno? Oltretutto, l’ultimo capitano azzurro ad alzare al cielo la coppa del Mondo è Fabio Cannavaro, nato quasi quarant’anni fa proprio a Napoli.

Ora, quei fischi all’inno nazionale costeranno ventimila euro al Napoli. Un danno economico che si aggiunge alla brutta figura e al pessimo esempio di cui quei tifosi, coinvolgendo suo malgrado tutta la tifoseria, hanno dato prova. Il giudice sportivo ha infatti comminato l’ammenda alla società di De Laurentiis.

L’amara verità, purtroppo, è questa: il pubblico napoletano, capace di far impallidire le squadre di mezza Europa grazie al suo calore e al suo entusiasmo, ha perso semplicemente una grande occasione per ribadire con forza la sua passione e la sua grandezza. Non possiamo star qui a sperare in un’Europa unita, come strumento per crescere e uscire dalla crisi, quando si parla ancora di nord, sud e Regno delle due Sicilie. L’Italia è una, così come la Coppa Italia. E a Napoli, c’e’ tanta gente che non si sente rappresentata da certe carnevalate fuori stagione.