Quei furbetti di Internet

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Quei furbetti di Internet

23 Ottobre 2016

Chi sono i buoni e i cattivi su Internet? Visto l’accaduto nelle ultime 48 ore (hacker misteriosi che si impadroniscono del cosidetto “Internet delle cose”, tipo i baby monitor, per sferrare un attacco congiunto contro il server Dyn, buttando giù i siti delle grandi corporation e dei giornali americani più importanti) la risposta che viene spontanea è semplice, i cattivi sono loro, gli smanettoni incappucciati alla “Mr. Robot”, per citare una recente e fortunata serie televisiva americana sul mondo degli hacker. I cinesi che avrebbero preso di mira la portaerei americana Reagan diretta verso il Mare della Cina meridionale, o quelli russi, che secondo la candidata democratica Hillary Clinton stanno cercando di interferire nella campagna elettorale Usa. Per la Clinton, le “hackerate” diventano naturalmente l’occasione per attaccare Donald Trump, che non avrebbe condannato con la debita fermezza le presunti intrusioni russe o quelle conclamate di Wikileaks nelle elezioni presidenziali. 

Ma la spiegazione in bianco e nero della Clinton, buoni da una parte, cattivi dall’altra, è riduttiva se non ipocrita. Il perché è presto detto. Nei giorni scorsi abbiamo raccontato la storia di James O’Keefe, il giornalista investigativo americano che ha scoperchiato le malefatte del partito democratico in campagna elettorale. Ebbene, i video prodotti dall’infiltrato speciale O’Keefe, caricati su YouTube, stranamente hanno un numero di visualizzazioni molto basso negli Usa ma milioni di visitatori in altri Paesi, come la Gran Bretagna. Come mai? Strano che proprio gli americani se ne disinteressino. E come mai l’account Twitter di O’Keefe nelle scorse settimane è stato bloccato? Qualcuno potrebbe aver segnalato a Twitter dei “contenuti inappropriati”, è possibile. Ma chi è questo qualcuno? Si tratta di una persona in carne e ossa oppure è un “fake”, un profilo farlocco di cui non si conosce l’identità? E se si tratta di una “manina” invisibile, chi le ha suggerito di indicare come “inappropriate” le cose scritte dal giornalista scomodo? 

Anche Milo Yiannopoulos, altro commentatore Usa allergico al politicamente corretto, che sta dando filo da torcere alla Clinton, è stato bloccato da Twitter dopo aver scritto una recensione non ortodossa sul film Ghostbusters (sic). “PragerU”, un progetto universitario di taglio conservatore, ha riportato invece l’elenco di alcuni video a cui YouTube ha ristretto l’accesso: “Pakistan: Islam e Sharia possono coesistere?”, “Perché una persona diventa estremista islamico?”, o ancora “Bush ha davvero mentito sulla guerra in Iraq?”, tra gli altri. A quanto pare, tutti “contenuti inappropriati”. Aggiungiamo pure che uno dei top manager di Google sta lavorando da mesi come consulente della Clinton (successe anche con Obama), per rifarle il sito internet e aiutarla a raccogliere donazioni online (avrete notato quante volte Hillary nei dibattiti con Trump ripeta “visitate il mio sito”). Ecco, qualche sospetto sulla parzialità delle grandi corporation del web e sulla parte politica con cui hanno deciso di schierarsi è lecito anzi doveroso farselo venire.

Vorrà pure dire qualcosa se, quando si cerca la parola Clinton su Google, i primi risultati “consigliati” dal motore di ricerca riguardano le magnifiche e progressive riforme della Lady Democratica, mentre se invece usiamo come motori di ricerca Yahoo o Bing i primi contenuti suggeriti riguardano, al contrario, le indagini della FBI sulla medesima Hillary. E’ stato scritto che Google decide quali pagine web devono essere incluse nei suoi risultati di ricerca e con quale ranking, cioè con quale posizione all’interno del motore; questi algoritmi sono segretissimi, come la formula della Coca Cola. L’impressione, insomma, è che siamo finiti in un grande acquario: i padroni di Internet decidono di sperimentare questa o quella “innovazione tecnologica”, osservando la reazione ed i comportamenti degli utenti del web, cioè noi, per “profilarli” meglio. Per esempio cercando di capire chi sono gli elettori indecisi, incerti, e propinando loro contenuti ad hoc in grado di orientarli in una determinata direzione, verso un candidato alla presidenza invece dell’altro. 

Non è esagerato dire che tecnologia sta rendendo possibile manipolare in modo non rintracciabile interi popoli, al di là di ogni regola o delle leggi vigenti in un Paese. In conclusione: è vero che il tema della sicurezza cibernetica diventa strategico in questo Ventunesimo secolo e che dovremo difenderci sempre più spesso dagli hacker, da Wikileaks e altre creature del genere. Ma attenzione a non farsi infinocchiare dai “furbetti del web”, i presunti buoni che non lo sono affatto. La signora Clinton, i suoi amici di Google e la loro ideologia, californiana “liberal” e politicamente corretta. Anche in Italia il presidente del consiglio Renzi ha chiamato un guru americano, l’obamiano Jim Messina, a rianimare la campagna referendaria per il Sì al referendum del 4 dicembre. Ma come abbiamo già scritto sull’Occidentale, in Italia, ci sono ancora molte, vecchie zie che Internet nemmeno lo aprono e voteranno secondo coscienza, in modo libero e senza farsi condizionare.

* L’autore ha curato il volume GoogleCrazia. Cerchiamo tutti con Google ma cosa va cercando Google da noi? Leconte 2008