Quei minorenni che stuprano e quei padri che li giustificano

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Quei minorenni che stuprano e quei padri che li giustificano

14 Settembre 2017

Ancora non si è spenta la polemica sulle violenze di gruppo di Rimini sulla coppia polacca e sulla trans, e di nuovo una violenza nei confronti di una ragazza, nel Salento, ancora più grave, perché stavolta è un omicidio. In tutti e due i casi sono rei confessi dei minorenni, il che rende ancora più drammatiche, se possibile, le due vicende. Ragazzi che avrebbero una vita davanti a sé, per i quali si pone il problema della giusta pena e del recupero. Ma qual è il modo più efficace? “I miei figli faranno due o tre anni di carcere poi usciranno puliti, si potranno fare una famiglia e vivere tranquilli. Mi dispiace per quella ragazza polacca ma i miei figli non avranno più certe compagnie, avranno capito quello che è successo e si comporteranno bene”. Sono le dichiarazioni di Mohamed, il padre dei due fratelli marocchini attualmente in galera per il violento stupro di Rimini di qualche settimana fa. Parole risuonate nella puntata di qualche sera fa a “Matrix” su Canale 5, che ne ha trasmesso l’intervista, e riportate poi da alcuni giornali. In un video con alcuni spezzoni si possono anche ascoltare considerazioni tipo “sono giovani ancora…è una cosa brutta, non si fa, è capitata, adesso sono ragazzini”.

È sconvolgente l’incredibile leggerezza del signor Mohamed (ora agli arresti domiciliari) nel ridurre le bestialità di cui sono stati capaci i suoi figli a: “è una cosa brutta, non si fa, è capitata, adesso sono ragazzini”. Se quest’uomo non riesce neppure a rendersi conto dell’orrore profondo suscitato dalle violenze dei suoi “ragazzini”, se non ha neppure pensato almeno a fingere, davanti alle telecamere, di essere anche lui disgustato, possiamo immaginare quale sia il background culturale in cui è cresciuto e, soprattutto, sono cresciuti i suoi figli. Purtroppo conosciamo bene le dure condizioni – di subalternità quando va bene, di violenza e soprusi quando va meno bene –  in cui vivono le donne in gran parte dei paesi di cultura islamica. Ma rischieremmo di essere addirittura peggiori se veramente i violenti di Rimini se la cavassero con due o tre anni di carcere, in forza della loro minore età: vorrebbe dire che, nonostante la nostra consapevolezza e il nostro sdegno, alla fin fine neppure noi diamo più di tanto peso alla faccenda. Esattamente come loro padre.

E non lo diciamo per una malsana voglia di consumar vendette, tornando magari alla biblica legge del taglione, ma proprio per dare una giusta opportunità di recupero ai colpevoli, e al tempo stesso per evitare richieste sempre più pressanti di punizioni altrettanto violente, fino al ritorno della pena capitale, come sentito più volte in questi giorni, e alla quale siamo assolutamente contrari. È giusto, infatti, dare una possibilità di ricominciare a chi ha sbagliato, tanto più se chi ha commesso un reato, anche gravissimo, è un minorenne, all’inizio della propria esperienza di vita. Ma il vero recupero può avvenire solamente a partire dalla piena consapevolezza del peso delle proprie azioni: per questo la pena deve essere commisurata alla gravità degli atti compiuti. Non c’è bisogno del giurista, dovrebbe bastare essere genitori per capire che gli errori dei figli, per essere corretti, a volte hanno anche bisogno di una certa dose di durezza.

Se le violenze, lucide e efferate, di cui sono stati capaci quei “ragazzini” meritano solo due o tre anni di galera, e poi la vita va avanti per loro come per tutti, non stiamo forse dicendo le stesse cose di loro padre? Che hanno fatto “una cosa brutta”, come tante altre “cose brutte”? Che si può commettere un atto del genere senza che poi la propria vita cambi granché? E che se la vita delle vittime è distrutta, ce la possiamo cavare con un “mi dispiace”? (Vorrei ricordare che abbiamo avuto persino polemiche, sui giornali, per la pubblicazione dei verbali in cui sono stati resi noti particolari agghiaccianti delle violenze del gruppo). Se veramente vogliamo il bene di quei ragazzini, così giovani e già capaci di così tanto male, dobbiamo far loro capire che hanno sconvolto per sempre la vita di altre persone, e che se ogni stupro è un atto violento per definizione, quello loro è stato di una violenza feroce, gratuita, inumana.

Quei ragazzi hanno 15 e 17 anni: se a 18 e 20 saranno di nuovo liberi come tutti i loro coetanei, per continuare a vivere come se niente fosse stato, come sembra essere certo il signor Mohammed, siamo sicuri che possano capire la gravità delle loro azioni? Non bastano le parole per spiegare che il “reset” è un tasto che funziona solo nei computer: nella vita nessuno, neppure Dio è in grado di cancellare il passato. Crediamo piuttosto il contrario, che solo di fronte a una pena veramente severa chi ha stuprato o ucciso, soprattutto se lo ha fatto con una certa dose di incoscienza giovanile, sarà costretto sinceramente a chiedersi “ma cosa ho fatto?”. Per poter davvero ricominciare a vivere, guadagnando in umanità.