Quei sette vescovi martiri che si opposero al comunismo romeno
25 Giugno 2019
Nel viaggio in Romania all’inizio di giugno il Papa ha riconosciuto il martirio di 7 vescovi fin dall’inizio del comunismo: «In quel triste periodo – Egli ci dice – la vita della comunità cattolica era messa a dura prova dal regime dittatoriale e ateo: tutti i Vescovi, e molti fedeli, della Chiesa Greco-Cattolica e della Chiesa Cattolica di Rito Latino furono perseguitati e incarcerati». Tiene a sottolineare che il comportamento cristiano «nei confronti degli aguzzini è un messaggio profetico, perché si presenta oggi come un invito a tutti a vincere il rancore con la carità e il perdono, vivendo con coerenza e coraggio la
fede cristiana». (La Stampa).
Alla fine della Seconda Guerra Mondiale la Romania usciva da un regime nazionalista e vedeva abdicare il Re, tra il 1947 e il 1948, con il subentro di un regime comunista che, entrando nel Patto di Varsavia, sarebbe rimasto nell’orbita sovietica per 40 anni, fino alla caduta col rovesciamento di Ceausescu. Un regime tipicamente ateo che reprimeva il senso religioso ridotto a “oppio dei popoli”, e per odio alla fede cristiana si scagliò sulle sue autorità: i sette vescovi della Chiesa greco-cattolica di Romania, in piena comunione con la Chiesa di Roma.
La notte tra il 28 e il 29 ottobre del 1948 vennero emanati simultaneamente gli ordini di arresto di religiosi e altri fedeli: prelevati e incarcerati nella prigione di Sighet. Giovanni Paolo II li definì “seme di nuovi cristiani” durante il viaggio in Romania del 1999, sulla stessa onda il Cardinale Angelo Becciu “Il martirio è il seme della conversione, anche Gesù ha detto che se il seme non muore non porta frutto”; ora porta a conclusione queste parole Papa Francesco che il 2 giugno scorso ha beatificato 7 di questi, vescovi, che rifiutarono fermamente di rinnegare il Santo Padre perché «la nostra fede è la nostra vita» (VaticanNews).
«Ai sette Vescovi greco-cattolici che ho avuto la gioia di proclamare Beati. Di fronte alla feroce oppressione del regime, essi dimostrarono una fede e un amore esemplari per il loro popolo. Con grande coraggio e fortezza interiore, accettarono di essere sottoposti alla dura carcerazione e ad ogni genere di maltrattamenti, pur di non rinnegare l’appartenenza alla loro amata Chiesa». Secondo Francesco «questi Pastori, martiri della fede, hanno recuperato e lasciato al popolo rumeno una preziosa eredità che possiamo sintetizzare in due parole: libertà e misericordia» (La Stampa).
Mons. Vasile Aftenie, vescovo di Ulpiana e ausiliare dell’Arcieparchia di Alba Iulia e Făgăraş, professore di teologia a Blaj, torturato e mutilato; mons. Valeriu Traian Frenţiu, vescovo di Oradea. Morto nelle terribile condizioni del centro penitenziario; mons. Ioan Suciu, amministratore apostolico dell’Arcieparchia di Alba Iulia e Făgăraş, torturato e lasciato morire nella malattia, poi sepolto in una fossa comne alla morte, nel 1953; mons. Tit Liviu Chinezu, vescovo ausiliare dell’Arcieparchia di Alba Iulia e Făgăraş, morto di fame e freddo e anche lui finito in una fossa comune; mons. Ioan Bălan, vescovo di Lugoj, tra i codificatori del diritto delle Chiese orientali; mons. Alexandru Rusu, vescovo di Maramureş, direttore del giornale “unirea”.
Degno di nota infine Mons. Iuliu Hossu, vescovo di Cluj Gherla, e attivo organizzatore della lotta clandestina all’ateismo. Prima cappellano militare durante la Grande Guerra e, dopo l’arresto, provò a riorganizzare quelle strutture che le autorità socialiste avevano dispoticamente provato a sopprimere. Infatti la sua attività giunse a conoscenza di Paolo VI che lo dichiarò cardinale in pectore non potendo esplicitare tale decisione ma sentendola nel profondo cuore, ma lo stesso rifiutò di venire a Roma, e salvarsi, per restare nella sua comunità, e allora rispose al vescovo Todea: «La mia lotta finisce, la tua continua». Morì il 28 maggio del 1970 a Caldarusani.
Il messaggio va ovviamente esteso al di là dello stretto confine nazionale romeno, è un messaggio universale e soprattutto tuttora valido giacché «anche oggi riappaiono nuove ideologie che, in maniera sottile, cercano di imporsi e di sradicare la nostra gente dalle sue più ricche tradizioni culturali e religiose. Colonizzazioni ideologiche che disprezzano il valore della persona, della vita, del matrimonio e della famiglia e nuocciono, con proposte alienanti, ugualmente atee come nel passato, in modo particolare ai nostri giovani e bambini lasciandoli privi di radici da cui crescere» (La Stampa).