Quel che accade all’Idv dimostra che il giustizialismo alla politica non basta
10 Gennaio 2011
Se distogliamo l’attenzione dall’attualità che, con il continuo sovrapporsi di minute vicende, rischia di annebbiare lo sguardo impedendo di percepire il movimento delle cose, possiamo dire che la situazione politica non invoglia all’ottimismo. All’orizzonte, più che una possibile chiusura della transizione, con la conseguente normalizzazione della dialettica politica, pare profilarsi una incipiente deriva trasformista. C’è il pericolo, cioè, che nel medio periodo il sistema politica si assesti su di un equilibrio neogiolittiano, fatto di tanti piccoli partiti personali o microformazioni legate a istanze locali (geografiche e/o pseudo-etniche).
Le vicende degli ultimi anni mostrano come, date le regole del gioco esistenti (che non favoriscono la stabilità e l’efficacia dell’esecutivo) e considerata la curvatura delle istituzioni (tuttora impregnate di doroteismo), riassestare il sistema per una strada solo politica, facendo perno su grandi partiti a vocazione maggioritaria, risulti oltremodo disagevole. La volontà politica non basta, quando mancano i necessari appigli istituzionali. I regolamenti parlamentari consentono di creare gruppi con pochi eletti, la legge elettorale pone una soglia di accesso al parlamento decisamente ridicola, più in generale la cultura materiale dei palazzi romani sembra opporsi gommosamente alla governabilità. Tuttavia, se il quadro generale non è roseo, proprio nelle vicende ultime troviamo un elemento positivo che vale la pena di rimarcare perché apre un piccolo spiraglio di luce.
Il 14 dicembre scorso il governo è riuscito a conseguire la fiducia con uno stretto margine di voti grazie anche a defezioni provenienti dalle fila dell’opposizione. In particolare ci sono stati due deputati eletti con "Italia dei valori" che hanno dato il loro sostegno al governo. Si sono fatte molte commenti pelosi sui voti comprati e sulla corruzione parlamentare. Certo, simili comportamenti appartengono al trasformismo, sia pure a un trasformismo difensivo rispetto a quello originario operato da "Futuro e libertà". Pure, tali osservazioni non colgono l’aspetto più interessante della faccenda. "Italia dei valori", com’è noto, è la formazione politica cui ha dato vita Antonio Di Pietro. In origine un partitino personale nato per supportare le mutevoli fortune del suo leader. Tuttavia l’ex magistrato ha voluto poi organizzare il partito su tutto il territorio nazionale. La linea politica, per così dire, di cui IdV si fa portatrice è riassumibile nei seguenti termini: estirpare il malcostume e il malaffare dando tutto il potere ai giudici. In sostanza, un giacobinismo di scarto, in cui si fa egualmente appello alla virtù, ma che al posto del Contratto sociale brandisce con foga il Codice penale.
"Italia dei valori" incarna il paradosso del qualunquismo più estremista: dare vita a un partito politico senza far ricorso a categorie politiche ma combinando le ambizioni personali del leader con un moralismo aggressivo e demagogico. Non c’è da stupirsi che un simile amalgama non regga, dando spazio al trasformismo.
All’interno del partito si è aperto un dibattito e l’ala più intransigente ha chiesto una severa epurazione, una bonifica radicale, senza percepire che il difetto non dipenda da una gestione difettosa, ma dall’approccio adottato. In sostanza, con il giustizialismo si potranno anche raggranellare dei consensi, ma non si traccia una linea politica e non si aggrega una classe dirigente.
Negli anni scorsi defezioni da IdV si erano già verificate. Ma quest’ultima vicenda risulta ancora più significativa, perché ha evitato la "spallata" a quello che i dirigenti della formazione dipietrista hanno sempre indicato come il "pericolo pubblico numero uno".
Dopo le elezioni del 2008 un accordo, o anche solo un dialogo decente, sulle riforme istituzionali tra la maggioranza e il Partito democratico è sempre risultato impossibile anzitutto perché il Pd è stato ricattato dalla componente giustizialista del centro-sinistra. C’è da augurarsi che la vicenda dei transfughi di IdV serva di lezione, e porti il centro sinistra ad abbandonare le pulsioni demagogiche tornando a tessere il filo di una politica degna di questo nome. In sostanza, messa finalmente la sordina ai mozzaorecchi della partitocrazia, il Pd può ricominciare a discutere dei necessari aggiustamenti costituzionali per consentire il rafforzamento della democrazia dell’alternanza.