Quel che la Chiesa dice e quel che i cattolici di Todi non fanno

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Quel che la Chiesa dice e quel che i cattolici di Todi non fanno

18 Ottobre 2011

Finalmente anche Todi c’è stata. L’appuntamento dei cattolici italiani riuniti per un giorno nel più stretto riserbo – quello che solo le spesse mura di un monastero garantiscono – si è consumato. Si stava preparando da mesi, con articoli di illustri editorialisti, discussioni di brillanti esponenti del mondo sociale, politico, economico, intellettuale, più o meno devoti, endorsement di ogni tipo, speranze a mille. E il giorno dopo Todi che cosa rimane? Il sunto del sunto della discussione a porte chiuse (perché mai, poi, se a latere dell’incontro tutti sapevano tutto), del dibattito tra i più noti esponenti dell’associazionismo cattolico qual è? Che le associazioni cattoliche italiane, per voce del loro più illustre – e politicizzato – esponente, Raffaele Bonanni, richiedono con forza e determinazione un governo tecnico (o di responsabilità, larghe intese, o come si voglia chiamare) e la riforma della legge elettorale. Che novità!

Ci saremmo aspettati altro, molto altro. Ci saremmo aspettati discorsi alti, programmi condivisi, la realizzazione di una piattaforma comune solidamente ancorata ai valori cristiani, avremmo persino preferito un programma elettorale che, partendo dai valori non negoziabili, si impegnasse a risolvere i molti problemi di questo nostro paese. Ci sarebbe piaciuto che Bonanni, Forlani, Olivero, Guerrini, Marini, De Bortoli, Galli della Loggia, Riccardi, e tutto il gotha dell’associazionismo cattolico riunito a Todi avesse tracciato una strada, dato la linea, richiamato ad un impegno concreto. E invece tutto pare essersi trasformato in una passerella per co-protagonisti e nella ennesima e sfibrante kermesse anti-berlusconiana.

Peccato. Un’altra occasione è andata perduta. Perché Todi, più di ogni altra cosa, doveva e poteva essere ciò che con esemplare chiarezza e profondità ha invitato ad essere il Card. Bagnasco nel suo discorso inaugurale. Vale la pena rileggerne un passaggio:

«La ricaduta sociale della fede cristiana appartiene al patrimonio dottrinale, segna la missione della Chiesa e ispira la prassi della cristianità. Anche circa il tema critico e complesso del lavoro, la Chiesa non da ora segue le vicende in modo attento e partecipe e, nei limiti delle sue competenze, si pone a fianco dei diversi protagonisti con una presenza discreta, rispettosa e responsabile. Oggi, dunque, la sensibilità generale è puntata in modo speciale sull’uomo nello sviluppo della sua vita terrena, e quindi sulle vie migliori per assicurare giustizia sociale, lavoro, casa e salute, rete accogliente e solidale, pace: valori, questi e altri, che vanno a descrivere ciò che è chiamata “etica sociale”».

«Ma la giusta preoccupazione verso questi temi – continua ancora il Presidente della Cei – non deve far perdere di vista la posta in gioco che è forse meno evidente, ma che sta alla base di ogni altra sfida: una specie di metamorfosi antropologica. Sono in gioco, infatti, le sorgenti stesse dell’uomo: l’inizio e la fine della vita umana, il suo grembo naturale che è l’uomo e la donna nel matrimonio, la libertà religiosa ed educativa che è condizione indispensabile per porsi davanti al tempo e al destino. Proprio perché sono “sorgenti” dell’uomo, questi principi sono chiamati “non negoziabili”».

«Quando una società s’incammina verso la negazione della vita, infatti, “finisce per non trovare più le motivazioni e le energie necessarie per adoperarsi a servizio del vero bene dell’uomo. Se si perde la sensibilità personale e sociale verso l’accoglienza di una nuova vita, anche altre forme di accoglienza utili alla vita sociale si inaridiscono” (Benedetto XVI, Caritas in veritate, n. 28). Senza un reale rispetto di questi valori primi, che costituiscono l’etica della vita, è illusorio pensare ad un’etica sociale che vorrebbe promuovere l’uomo ma in realtà lo abbandona nei momenti di maggiore fragilità. Ogni altro valore necessario al bene della persona e della società, infatti, germoglia e prende linfa dai primi, mentre staccati dall’accoglienza in radice della vita, potremmo dire della “vita nuda”, i valori sociali inaridiscono. Ecco perché nel “corpus” del bene comune non vi è un groviglio di equivalenze valoriali da scegliere a piacimento, ma esiste un ordine e una gerarchia costitutiva. Nella coscienza universale sancita dalle Carte internazionali è espressa una acquisita sensibilità verso i più poveri e deboli della famiglia umana, e quindi è affermato il dovere di mettere in atto ogni efficace misura di difesa, sostegno e promozione. Ciò è una grande conquista, salvo poi – questa dichiarazione – non sempre corrispondere alle politiche reali. Ma, ci chiediamo, chi è più debole e fragile, più povero, di coloro che neppure hanno voce per affermare il proprio diritto, e che spesso nemmeno possono opporre il proprio volto?…Vittime invisibili ma reali! E chi è più indifeso di chi non ha voce perché non l’ha ancora o, forse, non l’ha più? E, invero, la presa in carica dei più poveri e indifesi non esprime, forse, il grado più vero di civiltà di un corpo sociale e del suo ordinamento? E non modella la forma di pensare e di agire – il costume – di un popolo, il suo modo di rapportarsi nel proprio interno, di sostenere le diverse situazioni della vita adulta sia con codici strutturali adeguati, sia nel segno dell’attenzione e della gratuità personale? Questo insieme di atteggiamenti e di comportamenti propri dei singoli, ma anche della società e dello Stato, manifesta il livello di umanità o, per contro, di cinismo paludato, di un popolo e di una Nazione. La nostra Europa, come l’intero Occidente segnato da una certa cultura radicale fortemente individualista, si trova da tempo sullo spartiacque tra l’umano e il suo contrario. Questi temi non sono rimandabili quasi fossero secondari; in realtà formano la “sostanza etica” di base del nostro vivere insieme».

Se almeno la metà dei convenuti di Todi avesse sentito, oltre che ascoltato le parole di Bagnasco, se solo avesse avuto chiaro cosa concretamente significa affrontare la fida antropologica, prima ancora di quella sociale, se solo la metà dei partecipanti si fosse sentita chiamata in causa da quelle parole altisonanti e inequivocabili e non si fosse fermata (detto in estrema sintesi e con generica approssimazione) alle "dimissioni di Berlusconi", oggi i cattolici di Todi avrebbero una missione chiara.  E invece si sono limitati a strappare titoli da prima pagina, tirare per la gicchetta la Chiesa e i suoi più alti rappresentanti fintanto che gli ha fatto comodo, evocando la "questione morale" o legittimando con un atto di presenza un incontro a porte chiuse, salvo poi infischiarsene delle linee che la Chiesa stabilisce nel definire quel che ritiene una condotta pubblica ispirata ai valori cristiani.

E così tutto lascia pensare che Todi sia stato solo l’ultimo palcoscenico di una messa in scena fatta da complotti di piccolo cabotaggio e sottili – quanto fallimentari – rivalse personali.

PS. Forse il discorso di Bagnasco dovrebbero leggerlo anche nella redazione de il Giornale, che oggi titolano in prima pagina "La sinistra lancia l’opa sui cattolici e Bagnasco evoca il ritorno alla Dc". Capirebbero di non aver capito proprio un bel niente. Ma questa è un’altra triste storia.